ROMA (WSI) – C’è anche una mina-derivati nei conti di Carige, che «assorbe» liquidità del gruppo bancario e che ha causato un consistente «funding gap». Ovvero, la banca raccoglie meno di quanto le serve. Per capire cosa è successo nell’istituto genovese, è necessario dare qualche spiegazione.
C’è un parametro, detto «Valore a rischio» (VaR), che misura la perdita potenziale di una posizione d’investimento in un certo orizzonte temporale. È guardata con attenzione da chiunque operi sui mercati perché dovrebbe dire a quali rischi ci si espone con un dato investimento. Nel caso delle banche, anche Bankitalia monitora con attenzione il parametro per evitare che vengano assunti rischi troppo elevati.
Con la corsa dello spread e la crisi del debito italiano, il parametro in Carige viene sistematicamente sforato e lo sforamento viene prima autorizzato con delibere d’urgenza del Presidente e poi viene semplicemente deciso di eliminare la componente «sovrana», ovvero i titoli di Stato.
La ragione è in una serie di contratti derivati «a leva» (a debito, ovvero con rischi di perdite superiori all’investimento) sui Titoli di Stato italiani sottoscritti dall’istituto. Posizioni pari a circa 7 miliardi di euro, scrive Bankitalia nella sua relazione. Tanto, per una banca che ha 26 miliardi di raccolta e 30 miliardi di impieghi. A fare la parte del leone come controparte è Deutsche Bank, istituto tedesco già coinvolto con Santorini nel caso di Mps.
A fronte dell’investimento sono previsti dei collaterali a garanzia, da integrare o diminuire a seconda dell’andamento dei contratti – come nel caso Montepaschi – che per Carige a fine giugno erano pari a 1,1 miliardi.
Proprio per la crescita dei collaterali, la posizione con Deutsche Bank «ha assunto la dimensione di grande rischio», scrive Bankitalia. Ancora, una cifra di tutto rispetto: prendendo raccolta e impieghi come i parametri fondamentali per misurare la dimensione di una banca, siamo al 4% della raccolta e al 3,5% degli impieghi che vengono dati in deposito di garanzia.
Sempre sugli stessi contratti, Bankitalia registra l’immobilizzo degli investimenti gravati da riserve negative, un ulteriore mezzo miliardo a fine giugno con picchi passati di oltre un miliardo. Basterebbe, se non fosse che le posizioni, complesse e rischiose, vengono anche gestite con una certa approssimazione. Così ad esempio gli ispettori si accorgono che per misurare il valore dei derivati non quotati – i cosiddetti «over the counter» – l’istituto usa parametri diversi da quelli di mercato, con il risultato che la valutazione che viene data dalle controparti è «sistematicamente inferiore». A giugno erano 18 milioni di differenza, per dire.
In tutto questo, si è mossa sul caso Carige anche la procura. Per ora con l’apertura di un fascicolo contro ignoti dopo la consegna dei risultati ispettivi da parte di Via Nazionale.
Agli uomini di Ignazio Visco sono anche stati richiesti chiarimenti su alcune voci della relazione. Gli aspetti segnalati sono numerosi: i rischi di riciclaggio, i rapporti con una serie di clienti e anche gli aspetti patrimoniali.
Lunedì prossimo si riunirà il cda della Banca per una prima valutazione sulle relazioni degli ispettori. La riunione, non convocata ufficialmente, servirà a gettare le basi delle controdeduzioni da presentare a Bankitalia. Anche se gli spazi non sembrano molti. La lettera di Visco del 30 agosto scorso che accompagnava la relazione si chiudeva con un laconico «ove venga riscontrato il mancato adegiuamento alle indicazioni sopra fornite, la Banca d’Italia fa sin d’ora riserva di adottare tutte le iniziative ritenute opportune». C’è tempo fino a fine dicembre.
Copyright © La Stampa. All rights reserved