La settimana successiva alle elezioni presidenziali americane gli investitori si sono dati alla fuga dal mercato dei Bond. Più di 18 miliardi di dollari sono infatti fuoriusciti dai fondi comuni e dagli ETF obbligazionari. Nelle cinque settimane che sono seguite, se ne sono andati altri 22 miliardi di dollari.
La tendenza sta però gradualmente cambiando nel 2017. La questione riguarda le prospettive di crescita e di inflazione. Se prima era dato per scontato dai mercati che l’economia e i prezzi al consumo statunitensi stessero per aumentare di livello grazie alle misure pro crescita e pro aziende promesse dal neo presidente Donald Trump, ora i mercati nutrono qualche dubbio.
Guardando ai dati sui fondi comuni (diventati per certi versi la nuova frontiera dei mercati), la fuga dai Bond è stata un fenomeno solo temporaneo, scrivono sul Wall Street Journal Ben Eisen, Chris Dieterich e Sam Goldfarb. Dal primo gennaio più di $112 miliardi sono tornati nel mercato dei fondo di investimento a reddito fisso.
Il decennale del bond governativo americano ha raggiunto il 2,28% venerdì scorso, il livello più basso dalle elezioni dell’8 novembre. Intanto le società e i governi dei mercati emergenti hanno approfittato del ritorno della domanda, emettendo $178,5 miliardi di debito denominato in dollari nel primo trimestre, l’ammontare più alto di sempre su base trimestrale.
Anche le società americane non sono state da meno e il debito corporate con un buon rating creditizio è stato venduto alla cifra record di 414,5 miliardi di dollari nei primi tre mesi di quest’anno. Gli emittenti di debito giudicato spazzatura sono riusciti a piazzare 178,5 miliardi di dollari di bond, il doppio della somma vista un anno prima.
I giornalisti del Wall Street Journal sostengono che il ritorno in gran stile dell’appetito per i bond sia la dimostrazione di come gli investitori non riescano a convincersi della solidità della ripresa economica, nemmeno negli Stati Uniti, e non siano in grado di mettersi definitivamente alle spalle le preoccupazioni su un rallentamento dell’economia.
Bond: “non siamo in una fase di bolla”
Il pensiero di Mohamed El-Erian, che ha coniato il termine “nuovo normale” per descrivere la crescita fiacca post crisi, è il seguente: la regola della ‘squadra che vince non si cambia’ vale anche per gli investimenti. Per un trader è difficile abbandonare una vecchia strategia di trading (in questo caso l’investimento nei fondi legati ai Bond) se ha funzionato molto bene. “Prima di abbandonare qualcosa che ha funzionato per così tanti anni, ci vuole una prova inconfutabile” per convincerti a cambiare idea.
Ciò non significa che il successo sperimentato nel 2017 dai Bond è destinato a continuare a lungo termine. Anzi, per il consulente di Allianz Mohamed El-Erian il periodo di debole crescita economica, la “nuova norma”, e di domanda record per i titoli e oondi obbligazionari, potrebbe giungere al termine. Molto dipenderà dalle mosse della Federal Reserve e da quello che riuscirà fare di concreto Trump, ovvero come e se la sua agenda politica prenderà veramente forma.
Luke Farrell, direttore degli investimenti nei Bond di Capital Group, ha osservato che il mercato obbligazionario non si trova in una fase di bolla che sta per scoppiare: la banca centrale americana in realtà “prevede di agire in maniera relativamente progressiva, spiega l’analista, “effettuando quest’anno tre interventi da 25 punti base. Gli investitori obbligazionari si aspettano però un iter ben più graduale e il mercato dei future sconta solamente due rialzi. Negli ultimi anni la Fed ha spesso sovrastimato l’entità dei rialzi effettuati“.
“Secondo i principi base della matematica delle obbligazioni,a fronte di rialzi graduali molti fondi obbligazionari registrerebbero perdite riconducibili ai tassi molto ridotte, se non del tutto assenti. Prendiamo ad esempio l’Indice Bloomberg Barclays U.S. Aggregate, benchmark piuttosto diffuso nel settore. Considerandone il rendimento, la duration e altre caratteristiche alla fine del 2016 e tenendo costanti altri fattori, i tassi di interesse dovrebbero salire dell’1,3% (ossia oltre cinque rialzi da 25 punti base) nei prossimi due anni prima che gli investitori registrino una perdita”.
Si tratterebbe, spiega Farrell, di un rialzo dei tassi addirittura superiore a quello previsto dai mercati.