Detenere bond pubblici ritenuti quasi titoli spazzatura potrebbe rivelarsi un’opportunità. Una prospettiva da non scartare, dunque, secondo Giovanni Pesce, Presidente del Board di Fugen Sicav Raif, che dopo la recente bocciatura di Moody’s sul rating sovrano italiano analizza la possibilità che le obbligazioni italiane si rivelino alla fine una scelta migliore rispetto ad altri bond con alto rating e bassissimo rendimento.
“Certo, i tecnici ci diranno che per prima cosa bisognerà eseguire una verifica empirica, per accertarsi che il premio al rischio con un rendimento del decennale oltre il 3.50% sia corretto, ma personalmente comincio a chiedermi se il premio al rischio sul Bund decennale allo 0.50% lo sia a sua volta” spiega Pesce in una nota.
Entrando nel dettaglio della situazione tedesca, l’esperto sottolinea:
“L’economia tedesca, infatti, non sta viaggiando cosi bene quanto preventivato e la stabilità politica non è più cosi solida come in precedenza. Le banche tedesche, poi, non sono esenti da problemi di NPL e di crediti in sofferenza. L’attività di flight to quality che gli investitori all’ingrosso hanno necessariamente fatto spostandosi dai BTP a i Bund potrebbe non essere infinita. Anzi, probabilmente lo è già, finita”.
In quest’ottica, secondo Pesce, chi pensa che un gestore di un fondo debba per forza, una volta venduti i BTP in suo possesso, investire in Bund, commette un errore.
“Anche perché, grazie a Dio, finalmente i mercati dopo le elezioni dei tassi bassi e a seguito dell’evidente aumento delle volatilità, hanno capito che stare liquidi non è un errore ma che la liquidità è un’asset class opportunistica quanto molte altre”.
Ma non finisce qui. Secondo Pesce,
“un titolo a 10 anni con rendimento tra il 0.4 e il 0.5% contiene un grosso rischio di prezzo. Infatti, se i tassi di riferimento monetario prima o poi dovessero effettivamente salire, magari a seguito del raggiungimento degli obiettivi di crescita dell’inflazione, quei Bund tedeschi che facciamo passare all’opinione pubblica come i titoli meno rischiosi d’Europa conoscerebbero una svalutazione del loro prezzo di carico, semplicemente a causa dal necessario adattamento ai nuovi rendimenti di mercato”.
Tornando alla questione iniziale, ovvero se acquistare un decennale italiano, cioè di un paese che pur avendo subito un downgrade importante ha comunque ricevuto una conferma di outlook stabile, non sia occasione da cogliere, l’esperto conclude:
Il downgrade è la fine di un processo passato, l’outlook e invece una valutazione per il futuro. E per un investitore la stabilità è elemento importante per pesare il rischio e rapportarlo ai rendimenti. Personalmente sono convinto di due cose: i fondi internazionali che non possono per statuto mantenere in portafoglio strumenti emessi da un paese col nostro rating erano già abbondantemente leggeri sui nostri bond; ci aspettiamo che l’atteggiamento dei nostri governanti sia improntato a fare il meglio possibile nella gestione della cosa pubblica. E allora non è detto che dal letame non nascano davvero i fiori. Cioè non è detto, e personalmente credo in quello che scrivo, che da un downgrade in qualche modo prevedibile e atteso, e dalla conseguente fase di appesantimento dello spread e di rialzo dei rendimenti, non si possano originare le opportunità per rivedere le strategie. In questo modo, gli operatori attenti che già avevano agito in sell da mesi, potrebbero tornare in buy, ritenendo il premio al rischio accettabile e spendibile.