Società

Boom stampanti di oggetti 3D: per combattere la crisi

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

TORINO (WSI) – Ci si arriva fra capannoni chiusi, silenzio, viali senza auto nei piazzali delle fabbriche. La quiete è il rumore di fondo della recessione, ma questo è solo il mondo di fuori. Dentro, si sente subito che l’Italia avrebbe bisogno di migliaia, decine di migliaia di aziende così per difendere il suo rango nell’aristocrazia industriale dell’Occidente. Già da sola, in realtà, la Provel di Pinerolo per qualcosa conta: con appena trenta dipendenti, contribuisce a trasformare la produttività di buona parte dei marchi più celebri del made in Italy e a metterli in condizioni di competere con più rapidità sui mercati internazionali.

Provel, controllata dall’americana 3D Systems, è uno stampatore di oggetti. Occhiali, dentiere, la plancia comandi di auto da corsa, una parte di motore fatta tutta in fusione, gioielli dalle forme impossibili da riprodurre a mano. Fra le colline alla base delle Alpi, questo è l’avamposto di una nuova rivoluzione industriale che anche in Italia si sta innestando su decenni di innovazioni precedenti. L’azienda, fondata all’inizio degli anni 90 da un chimico veneto di nome Giorgio Buson, produce prototipi per imprese che non avrebbero mai pensato di trovarsi riunite tutte insieme nel suo libro committenti: fra gli altri Ferrari, Fiat, Italdesign di Volkswagen, quindi marchi della moda e del lusso come Pomellato, Gucci, Bulgari, Luxottica e poi Indesit e Electrolux, oltre a costruttori di aerei come Aermacchi o produttori di dentiere. Da qui escono prototipi per auto di Formula 1 (anche le concorrenti di Ferrari, inclusa Red Bull) e per utilitarie da ceto medio in declino; escono gli sbozzi di gioielli destinati ai nuovi ricchi di Shanghai; pezzi di elettrodomestici e velivoli, protesi di vario tipo del corpo umano.

Il vantaggio è che i prototipi accelerano esponenzialmente i tempi di produzione. Si crea l’oggetto tridimensionale con un iniettore che deposita a ogni passaggio 5 o 10 centesimi di millimetro di una resina acrilica, di una lega di metallo, una cera o una polvere di nylon. Poi lo si consolida con il laser o lo si lascia raffreddare e si prova. Fino al risultato voluto. «Negli anni 70 dal primo colpo di matita del progettista all’uscita sul mercato, per un’auto servivano sei anni – dice Buson -. Oggi siamo a 18 mesi e il tempo si sta accorciando ancora». La stampa tridimensionale di prototipi è la continuazione di questa rincorsa con altri mezzi. Basta una Provel da trenta addetti nel cuore di un sistema industriale, per aumentare la competitività di gruppi che insieme fatturano molte decine di miliardi di euro. La stampa avviene dentro macchine non troppo diverse da grossi frigo; alcuni gruppi, come Elettrolux e Luxottica, alla fine hanno preferito comprarle da Provel per gestire dall’interno questa parte dello sviluppo dei nuovi prodotti. Ci sono poi macchine da circa mille euro, della taglia di un forno a microonde, destinate alle famiglie: a una temperatura di 190 gradi stampano maniglie, posate, bigiotteria, pezzi degli scacchi; Provel fornisce anche il software con cui disegnare gli oggetti.

Niente nella storia di Giorgio Buson, 63 anni, figlio di contadini padovani, prometteva di portarlo al centro di questa silenziosa rivoluzione. Niente, se non un dettaglio: la grande chimica nazionalizzata del dopoguerra aveva piazzato la Montedison a Porto Marghera. Nella speranza di trovare lavoro nel distretto vicino casa, Buson studia da perito chimico. Inizia vendendo resine. Un giorno a una fiera in Germania vede macchine da prototipi e decide di investire, cresce con mezzi propri (mai un prestito dalla banca) fino a lavorare per la galleria del vento della Ferrari quando Schumacher vince sette mondiali di seguito anche grazie all’aerodinamica. Quando nel 2010 la 3D Systems di Rock Hill, South Carolina, cerca un’azienda in cui investire per portare le stampanti in Europa, Provel è pronta. Capitale e tecnologia internazionale, creatività di un italiano che si è fatto da sé, nel cuore di un sistema industriale vivo. Forse il frastuono delle fabbriche a pieni giri può ancora tornare nelle mille Pinerolo d’Italia.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Il Corriere della Sera – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

Copyright © Il Corriere della Sera. All rights reserved