“Immaginate come vi sentireste se foste giornalisti turchi, preoccupati di quello che potreste dire, e vedeste Angela Merkel – il leader di uno dei Paesi più ricchi e popolosi dell’Ue – schierarsi vigliaccamente con il capriccio di un autocrate”. A scrivere queste parole velenose sul caso del comico tedesco che rischia un processo per vilipendio a causa delle gag sul presidente turco Recep Tayyip Erdogan è il sindaco di Londra, Boris Johnson.
Da superstar della campagna conservatrice in favore della Brexit, Johnson coglie al balzo l’occasione per attaccare l’ennesima brutta figura che l’Europa ha dovuto subire per tenere a bada la Turchia e, soprattutto, i flussi di migranti pronti a partire dalle sue coste.
In questo caso è la lesa maestà di un leader straniero a stridere con i valori di fondo dell’Europa, di cui la libertà di espressione e di satira sono parte integrante e fondamentale. Jan Boehmermann, nel tentativo di spiegare a Erdogan cosa significasse davvero non rispettare le istituzioni, aveva definito il presidente turco “uno che fotte le capre”. Le ire di Erdogan sono state assecondate dalla cancelliera Merkel, che non si è opposta alla sua richiesta di procedere per vilipendio, un reato previsto dall’ordinamento tedesco per il quale il comico rischia fino a cinque anni di reclusione.
“Tutti sanno perché Angela Merkel è così cinicamente e disperatamente determinata ad appagare il leader turco, o almeno a non irritarlo; perché nelle prossime settimane potremmo avere un’altra crisi migratoria nell’Est del Mediterraneo”, scrive Johnson sul quotidiano conservatore Telegraph.
Ovviamente, è altrettanto chiaro che la campagna pro-Brexit che il sindaco di Londra sostiene in prima linea non può farsi sfuggire un’occasione come quella offerta dal pasticcio del vilipendio a danno di un comico la cui colpa è stata ironizzare sul leader sbagliato.
Sì, perché il patto sul contenimento dei rifugiati, che comprende aiuti economici ad Ankara, include anche le promesse di futura entrata nell’Unione Europea; fatto che suona come una sonora minaccia alle orecchie di coloro che, soprattutto per le questioni migratorie, lascerebbero volentieri l’Unione Europea per decidere autonomamente chi ha diritto di oltrepassare i propri confini e chi no.