Borsa: cinque lezioni d’investimento nell’era della pandemia
di Steven Watson (Capital Group)
Alla fine del 2019, ero fiducioso del fatto che i mercati fossero ben posizionati per un periodo di forti rendimenti. L’inflazione e i tassi d’interesse erano bassi e sembravano destinati a rimanere tali. Le banche erano ansiose di concedere prestiti e le aziende sembravano disposte a investire di nuovo in capacità produttiva, invece che in riacquisti di azioni e acquisizioni discutibili. Forte delle mie convinzioni, ho inaugurato il 2020 in linea con quanto detto, ossia con poca liquidità e molte posizioni importanti a carattere ciclico.
Borsa, quando comprare e quando vendere
Da quando sono in questo settore, credo che il mercato oscilli tra entusiasmo eccessivo e pessimismo estremo. Un investitore con un ragionevole grado di obiettività può trarre vantaggio se vende nel primo contesto e se compra nel secondo.
Si tratta di un approccio che mi ha servito bene negli ultimi 30 anni, ma che spesso comporta anche delle tensioni e tende a funzionare meglio soprattutto durante le prime fasi di ripresa del mercato, quando il pessimismo cede il passo all’ottimismo.
Borsa, 5 lezioni di investimento
Vorrei illustrare cinque lezioni che ho imparato o re-imparato nella pandemia e che uso oggi nei miei portafogli:
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Le crisi di mercato sono inevitabili: l’avvento della crisi del mercato azionario causata dalla pandemia mi ha portato a pensare alle turbolenze del mercato che ho vissuto in passato. Ne contate 21, tra cui il crollo dell’Unione Sovietica, lo scoppio della bolla tecnologica, la crisi finanziaria globale e ora il COVID-19.
Ho fatto l’elenco solo per evidenziare il fatto che le crisi di mercato fanno parte della vita degli investitori.
Secondo il mio elenco, abbiamo uno di questi eventi ogni 18 mesi circa. Nessuno avrebbe potuto prevedere la pandemia, ma, a posteriori, sarebbe stato saggio considerare la possibilità che qualcosa sarebbe accaduto e avrebbe sconvolto l’incredibile fase di mercato rialzista del decennio precedente.
Se la storia ha un qualche valore, allora possiamo credere che riusciremo superare il momento e ne usciremo più forti. Ed è effettivamente quello che sta succedendo.
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Interpretare la storia non è una scienza esatta: questo elenco relativamente breve di eventi offre anche altre lezioni importanti, tra cui il fatto che la storia non si ripete necessariamente nel modo che vi aspettereste.
È facile tracciare falsi parallelismi, proprio come ho fatto io nei primi mesi della crisi COVID. Per esempio, ho vissuto a Hong Kong durante l’epidemia di SARS nel 2003. Ho cominciato subito a fare confronti troppo semplicistici tra SARS e COVID. Tuttavia, anche se vivere durante la SARS era terribilmente spaventoso, in termini relativi, si trattava di un evento abbastanza piccolo. Trarre conclusioni sul COVID dall’esperienza della SARS si è rivelato un errore e molti investitori si sono trovati impreparati di fronte alla portata e alla durata di questa pandemia.
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Growtho value? Entrambi, al giusto punto d’ingresso: Anche se faccio un po’ fatica con delle definizioni eccessivamente ampie, vaghe e senza sfumature, come growth e value, la selezione abbastanza limitata di titoli orientati alla crescita mi ha salvato durante i giorni peggiori del 2020. Tra questi vi erano alcune azioni tecnologiche, in particolare nel settore dei semiconduttori, nonché alcune società di Internet di vendita al dettaglio e di e-commerce. Ho sempre creduto nella resilienza del settore tecnologico.
Il punto d’ingresso è importante per me; pertanto, molti dei miei investimenti legati alla tecnologia sono posizioni a lungo termine inserite in portafoglio prima che il mercato ne riconoscesse il potenziale. Mi piace acquistare le azioni quando sono in calo e in difficoltà, ma mi piace anche mantenerle a lungo per permettere al mercato di comprendere il loro vero valore. Man mano che queste azioni salivano durante la pandemia, ne ho gradualmente ridotte alcune per fare spazio ad aree meno amate del mercato, tra cui energia, finanza e viaggi.
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I dividendi svolgono un ruolo importante: parlando di aree non amate, ho da tempo posto l’accento sui dividendi come principale meccanismo per il trasferimento di valore da un’azienda ai suoi investitori. Ho anche mantenuto l’aspettativa che i dividendi continuino a servire da fattore di stabilizzazione durante i periodi di turbolenza del mercato. Purtroppo, quest’ultima caratteristica si è indebolita nel corso dell’ultimo decennio e a volte nel 2020 sembrava scomparire completamente. Ma con ciò non voglio dire che il rendimento sia inutile.
Le attuali condizioni monetarie senza precedenti, insieme alla devozione del mercato per le aziende in rapida crescita e con un impatto sulla società, hanno messo da parte molte regole del passato. Detto questo, non credo che il valore del dividendo come meccanismo di trasferimento di ricchezza dall’azienda agli investitori sia finito. A mio parere, è più importante che mai. Continuo infatti a detenere un certo numero di titoli con alti dividendi o con dividendi in crescita nei miei portafogli. In poche parole, i dividendi mi piacevano prima della pandemia e continuano a piacermi anche ora.
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Il prof. Rame fa delle ottime diagnosi: oggi le mie previsioni non sono cambiate molto. Proprio come i mercati, tornati al punto di partenza, anche io ho l’impressione di muovermi un po’ come ho fatto a fine 2019.
Sono ancora completamente investito e mi aspetto che i mercati globali saliranno da qui a un anno. I miei portafogli sono ancora caratterizzati da un atteggiamento prociclico, il che significa che privilegio le aziende che, a mio avviso, beneficeranno della riaccelerazione della crescita economica globale. Potrei sbagliarmi, naturalmente, ma mi sento rincuorato dalla diagnosi del prof. Rame. Il rame è una materia prima con una grande capacità di prevedere il percorso dell’economia globale. Il prezzo del rame ha toccato un minimo alla fine di marzo.
Ora lo stesso ci dice che l’economia è in forte ripresa e probabilmente continuerà a esserlo. Il rame potrebbe anche essere un monito rispetto a crescenti pressioni inflazionistiche, ma per il momento non credo che l’inflazione o l’aumento dei tassi d’interesse possa essere una minaccia per i mercati azionari globali. Sto inoltre trovando le occasioni più interessanti fuori degli Stati Uniti. In particolare, i mercati emergenti sono attualmente molto più attraenti in termini di valutazione degli Stati Uniti, e i miei portafogli generalmente riflettono quest’idea.