Cross Asset Investment Strategy di AMUNDI
Da una disamina dell’indice è risultato che il 20% dei fatturati aggregati delle società che costituiscono l’MSCI Europe è diretto verso gli Stati Uniti, mentre solo il 14% dei fatturati delle società che costituiscono l’MSCI USA è diretto verso l’Europa. Nel caso di un conflitto, gli USA sarebbero quindi meno esposti, ma entrambe le parti ne uscirebbero sconfitte.
Nonostante si ritenga di solito che il settore europeo delle automobili e della componentistica possa essere quello più bersagliato, in realtà ci sono altri settori ancora più esposti agli USA – come i beni strumentali, i prodotti alimentari, le bevande e il tabacco o il settore sanitario – che potrebbero risultare a rischio.
Chi sarebbe maggiormente penalizzato?
Nel caso di una guerra tariffaria, chi ci perderebbe maggiormente? A livello macroeconomico, diversi organi nazionali e internazionali hanno già fornito alcune indicazioni utili.
Secondo la Commissione Europea, per esempio, nonostante il rapporto commerciale bilaterale sia in senso stretto strutturalmente favorevole all’Unione Europea, un quadro più ampio che include servizi, investimenti e utili rimpatriati mostra una situazione di gran lungo più equilibrata, con un leggero avanzo a favore degli Stati Uniti sia nel 2017, sia nel decennio scorso (2007-2017).
Nel frattempo, la Bank of England ha stimato che una guerra commerciale globale in cui tutto il mondo alza i dazi di circa 10 punti percentuali sottrarrebbe in tre anni circa il 2,5% alla crescita del PIL.
Prendendo in considerazione la sola Brexit, in un rapporto dello scorso novembre il governo britannico ha stimato che, in caso di una Brexit senza accordo, il PIL britannico potrebbe calare a lungo termine dell’8% (nell’arco di circa 15 anni) rispetto alla sua traiettoria iniziale. Stando alle varie proiezioni, nel 2020 il Regno Unito potrebbe finire col gravitare in territorio recessivo invece di conseguire la crescita dell’1,4% prevista attualmente.
Infine, in un recente articolo del Bollettino economico BCE sulle “implicazioni economiche del crescente protezionismo, per l’area dell’euro e in una prospettiva globale”4 gli autori hanno dichiarato che “finora si è ipotizzato un impatto contenuto, tuttavia potrebbero esserci dei forti effetti negativi se le tensioni commerciali dovessero peggiorare ancora”.
Il nostro approccio focalizzato sui mercati azionari è meno accademico e più pratico. La nostra intenzione è soprattutto quella di capire quali Paesi e settori in Europa risentirebbero maggiormente di un eventuale aumento dei dazi doganali. A tale scopo abbiamo preparato un elenco con l’esposizione geografica dei diversi indici e sotto-indici.
Questo filtro è ovviamente ipersemplificato. Per renderlo completo dovremmo includere non solo le vendite, ma anche gli acquisti e la produzione effettuata all’estero. Allo stesso modo, l’esposizione netta così calcolata dovrebbe essere confrontata con i margini di ogni entità presa in considerazione. L’impatto, per esempio, di un dazio netto del 2% sul fatturato dipenderebbe dal margine dell’entità. In ogni caso, questo primo filtro fornisce alcune indicazioni utili e dovrebbe semplificare le eventuali ricerche complementari.
Quanto le azioni europee sono esposte agli USA
Gli USA rappresentano il 20% del fatturato aggregato delle società dell’MSCI Europe.
Il Grafico 1 mostra che le vendite negli Stati Uniti rappresentano in media il 20% del fatturato aggregato delle società che costituiscono l’MSCI Europe. Nell’altra direzione, le vendite verso l’Europa rappresentano il 14% del fatturato aggregato delle società che costituiscono l’MSCI US, di cui il 12% verso la sola Unione Europea. Nel caso di una guerra tariffaria, gli Stati Uniti sarebbero quindi meno vulnerabili dell’Europa. Tuttavia, sarebbero comunque esposti pesantemente e riporterebbero di certo delle perdite se il conflitto dovesse degenerare.
C’è però da tener presente che l’esposizione dell’Europa agli Stati Uniti varia da Paese a Paese, dal 2% del Portogallo al quasi 30% della Svizzera. Minore la dispersione nei Quattro Grandi dell’MSCI Europe – Germania, Francia, Regno Unito e Svizzera – che insieme rappresentano il 73% della capitalizzazione di mercato dell’Europa. La loro esposizione agli USA varia dal 16% al 30% ed è in media del 22% (in base alle ponderazioni dell’MSCI Europe).
Poiché la Svizzera non fa parte dell’Unione Europea e il Regno Unito rappresenta un caso a sé per via della Brexit e del suo status di stretto alleato degli Stati Uniti, tra i Quattro Grandi la Germania – con le sue famose auto classe premium – appare il Paese più pesantemente esposto.
Tuttavia, uno sguardo più dettagliato all’MSCI Europe (si veda il grafico 2) mostra che, con il 20% delle vendite negli Stati Uniti, il settore automobilistico europeo presenta un’esposizione in linea con la media. Contrariamente alle notizie che possono essere circolate, è ben lungi dall’essere il settore più pesantemente esposto agli Stati Uniti. Sarebbe indubbiamente penalizzato dall’aumento dei dazi doganali – gli Stati Uniti rappresentano il maggior mercato per i produttori tedeschi di automobili dopo la Cina – ma sono a rischio anche altri settori.
I settori europei a rischio
Pensiamo in particolare al settore farmaceutico e a quello delle attrezzature sanitarie che esportano rispettivamente il 37% e il 36% della loro produzione negli Stati Uniti. Inoltre, in occasione delle prossime elezioni, assisteremo di certo alle rituali campagne sui prezzi dei farmaci e sulla sanità in generale. Poiché questi settori in tempi normali sono considerati dei settori difensivi, potrebbero riservare una doppia delusione se dovesse esserci una guerra fg anche tra Stati Uniti ed Europa.
Quattro altri settori industriali rivestono un ruolo più importante del settore Automobili & Componentistica auto: prodotti alimentari, bevande & tabacco, tecnologia hardware, beni strumentali e prodotti per l’igiene personale e per la casa, le cui vendite negli Stati Uniti oscillano tra il 22% e il 25% del loro totale.
Nel grafico 2 abbiamo invece isolato i servizi. Nonostante alcuni di essi6 siano pesantemente esposti agli Stati Uniti, sono stati oggetto di una valutazione diversa perché difficilmente sarebbero soggetti a dazi doganali anche se, in una guerra commerciale all’ultimo sangue, potrebbero risentire di molte barriere non tariffarie quali norme, certificazioni, protezionismo legale, nonché degli effetti extraterritoriali della legge americana.
Riassumendo
Vista la portata dei legami tra Stati Uniti e Unione Europea, entrambi i partner uscirebbero sconfitti da una guerra tariffaria. Sebbene da un punto di vista puramente commerciale il rapporto bilaterale sia strutturalmente favorevole all’Unione Europea, se si tiene conto anche dei servizi, degli investimenti e del rimpatrio degli utili il rapporto risulta quasi in perfetto equilibrio e forse addirittura a vantaggio degli Stati Uniti. Sia come sia, visto che le merci sono più facilmente tassabili dei servizi, l’Europa sarebbe di certo la prima a pagare lo scotto dell’aumento dei dazi doganali.
Nonostante le automobili e la componentistica europea appaiano già condannate da una giuria di tweet, non è questo il settore più pesantemente esposto agli Stati Uniti; inoltre vanta diversi contro-argomenti a suo favore. Si consiglia invece di prestare maggiore attenzione e di analizzare più a fondo altri settori come sanità, beni strumentali, prodotti alimentari, bevande e tabacco, che sono meno nell’occhio del ciclone mediatico, ma che presentano esposizioni altrettanto consistenti agli Stati Uniti.