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Borse spaesate: scambi ad alta volatilità. Saltano primi fondi

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Sbalzi incredibili a Wall Street, che prima recupera il 2% martedì durante una seduta in saliscendi, poi vede i futures indebolirsi nuovamente. Da parte loro le Borse europee provano a reagire, ma senza troppo slancio dopo sette sedute negative di fila. La settimana scorsa è stata archiviata come la peggiore in due anni, mentre il lunedì nero del 5 febbraio ha fatto chiudere gli indici della Borsa Usa con i cali più pesanti dal 2011. Prima del rimbalzo della vigilia, il Dow Jones ha perso in una manciata di sedute l’8,5% del valore rispetto ai massimi record toccati a inizio 2018.

Stavolta Goldman Sachs sembrerebbe aver indovinato le previsioni: una settimana fa Peter Oppenheimer, a capo della strategia azionaria globale della banca d’affari, ha ricordato in un report che dopo il 1929 l’indice allargato S&P 500 non aveva mai avuto un periodo così lungo di rialzi senza che al suo interno ci fosse stata una fase di correzione di almeno il 5%, pertanto una fase di ripiegamento era da mettere in contro. Secondo diversi gestori è un calo salutare, quasi fisiologico dopi i record segnati da un contesto di compiacenza e calma assoluta. Le condizioni economiche favorevoli da fattore positivo sono diventate un elemento negativo di cui dover riflettere dopo il report occupazionale Usa di venerdì scorso.

Lunedì il Dow Jones è arrivato a perdere più di 1.500 punti, in quello che è stato il calo intraday maggiore della storia del listino in termini di punteggio. A pesare sono stati i timori sulla possibilità che il ciclo composto di crescita coordinata, bassa inflazione e bassi tassi di interesse sia vicino alla fine. L’inflazione resta a livelli ancora bassi, ma gli ultimi dati sul mercato del lavoro, che hanno mostrato il balzo dei salari più intenso dal 2009, sono – secondo gli osservatori – un segnale iniziale di un pericoloso surriscaldamento eccessivo dell’economia.

Secondo Art Cashin, a capo delle attività sul floor del Nyse di UBS Financial Services, “quando c’è questo tipo di movimento, di solito significa che ci vorrà un paio di giorni per trovare il fondo”. Cashin ha definito “totalmente ridicolo” il crollo del Dow Jones, facendo notare che i volumi sono stati moderati. Il presidente del Nyse, Tom Farley, ha spiegato che nell’azionario tutto ha funzionato regolarmente: “Non c’è nulla di nuovo sotto il sole”.

Ma il movimento maggiore lo si è visto nell’indice della volatilità e negli investimenti con posizioni short. Il VIX è balzato sopra i 37 punti e poi anche sopra quota 50, mentre il fondo associato alle puntate al ribasso sulla volatilità (lo Short VIX ETF) è saltato dopo essere imploso nell’after-hours, quando ha subito un calo impressionante del 90% a quota $10. Andamento che ha spinto alcuni osservatori a commentare di “non aver mai visto nulla di simile” e Credit Suisse a chiuderne l’attività.

Nel campo del reddito fisso, i Treasuries Usa vengono riscoperti come bene rifugio in tempi di incertezza. Reduce da cinque settimane di fila in calo, il decennale ha chiuso con rendimenti – che si muovono inversamente ai prezzi – al 2,794% dal 2,852% della seduta precedente, quella di venerdì scorso. Sul fronte valutario, il dollaro si è rafforzato. Il WSJ Dollar Index – che misura l’andamento del biglietto verde contro un basket di 16 divise – ha aggiunto lo 0,2% a 83,74 punti. Un euro veniva scambiato per 1,2419 dollari (-0,3%).

Wall Street: come il flash crash del 2010

Il brusco calo registrato a Wall Street poco dopo le 21 ora italiana somiglia molto al ‘flash crash’ del 2010, hanno affermato alcuni analisti. Il flash crash è il fenomeno che si verifica sui mercati elettronici in cui il ritiro degli ordini accentua rapidamente il calo dei prezzi. Il Dow Jones nel punto più basso della seduta è arrivato a perdere il 6,12%, ovvero 1.597,08 punti: un calo maggiore rispetto a quello del 6 maggio del 2010 quando si è verificato il flash crash. Allora il Dow Jones aveva perso 1.000 punti anche se in termini percentuali era sceso del 9,2%.

Immediata la reazione della Casa Bianca che ha tentato di rassicurare gli investitori: “I fondamentali di lungo termine dell’economia restano estremamente solidi”. Detto questo l’amministrazione Trump è preoccupata per la perdita di valore di Wall Street.

Le cose potrebbero mettersi peggio nel prosieguo della settimana, almeno a giudicare dalle prove recenti del VIX, l’indice della volatilità anche detto della paura, volato di oltre il +30% oltre livelli che non si vedevano dall’inizio del novembre 2016, prima dell’elezione di Donald Trump alla presidenza Usa. Chiaramente, tra gli investitori non è venuto meno il timore che la Federal Reserve possa alzare i tassi più rapidamente del previsto.

Quella paura è stata alimentata dal balzo dei salari orari registrato a gennaio su base annua, segno di pressioni inflative che si stanno formando. Nel giorno in cui ha giurato, oggi il neo governatore della Federal Reserve ha promesso scelte “oggettive e basate solo sulle prove migliori a disposizione” e un “impegno a spiegare quello che stiamo facendo e perché”.

Come a dire che la banca centrale non intende sorprendere i mercati, che nella riunione di marzo si aspettano una stretta. Ieri l’ex governatore Janet Yellen aveva parlato di prezzi “alti” nell’azionario ma non si era sbilanciata a parlare di bolla. Vale la pena ricordare che Wall Street aveva chiuso con il 2017 l’anno migliore dal 2013 e che l’inizio del 2018 era stato con il botto. Una correzione è dunque vista da molti operatori come salutare e fisiologica.

Inevitabile un effetto domino su scala planetaria. Si estende alle Borse asiatiche la correzione che ha affossato Wall Street. Sul finale di seduta Tokyo cede il 4,97%, Hong Kong il 4,1%, Shanghai il 2,7%, Shenzhen il 3,3%, Seul l’1,27%. Sydney ha chiuso in ribasso del 3,3%. Il Nikkei, in calo del 10% dallo scorso 23 gennaio, è entrato in una fase di correzione tecnica.

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