Milano – L’inchiesta che farà tremare molti santuari del potere, sia palese che occulto, porta il nome della Banca Popolare di Milano e del suo ex presidente, il bolognese Massimo Ponzellini, perquisito ieri insieme ad altre persone dalla Guardia di Finanza su ordine della Procura di Milano per un’ipotesi di associazione per delinquere e ostacolo all’esercizio delle autorità di vigilanza bancaria.
L’accusa riguarda infatti un finanziamento per 148 milioni di euro concesso dalla Bpm di Ponzellini con criteri «di anomalia e scarso approfondimento», alla società Atlantis/Bplus Giocolegale Ltd, vero gigante del gioco d’azzardo legale in Italia ma con sede alle Antille Olandesi, la cui reale proprietà rimane allo stato un mistero.
«Nei fatti – scrivono i pubblici ministeri Pellicano e Clerici nel decreto di perquisizione – è stato concesso un rilevantissimo finanziamento (per gli standard della Bpm) a una società la cui catena di controllo fa capo a una società delle Antille Olandesi, il cui titolare effettivo dichiarato, Francesco Corallo, non vive nel territorio dello Stato, e che riversa parte importante dei suoi ricavi fuori dal territorio nazionale, senza che sia dato accertare, a ragione della collocazione della società di controllo in un paese off-shore, dove essi vadano a finire..».
Basti pensare che la Atlantis riesce ad avere un giro d’affari nel nostro Paese pari a circa 60-70 miliardi di euro all’anno attraverso la gestione delle slot machines nei bar o nelle sale da gioco o attraverso Internet, somma che nella misura del 75 per cento viene ridistribuita tra le vincite e per il rimanente 25 per cento viene suddivisa tra l’erario e i gestori delle slot, lasciando ricavi comunque da favola: tra i 7 e gli 8 miliardi di euro. A chi finisce tutto questo ben di Dio? A Corallo, che detiene la maggioranza con il 20 per cento e ai suoi misteriosi soci, tutti nascosti dietro il paravento di decine di società off-shore, proprietari di tre casinò a Saint Marteen, due a Santo Domingo e uno a Panama.
Completamente incensurato e, allo stato, nemmeno indagato in questa inchiesta, Corallo, sebbene sconosciuto al grande pubblico,è un personaggio di grande caratura: è figlio di Gaetano, detto «Tano», condannato tempo fa a sette anni e mezzo di reclusione per associazione per delinquere finalizzata all’estorsione e considerato molto vicino al boss mafioso Nitto Santapaola. Il vecchio Tano a metà degli anni ’80 fu anche protagonista dello scandalo del Casinò di Sanremo con contorni di mazzette a uomini della dc e del Psi, e che portò in prigione l’ex sindaco d’Imperia Claudio Scajola, poi prosciolto e diventato quindi ministro.
Anche Francesco, che all’ epoca aveva appena 22 anni, è stato coinvolto nel 2004 nell’inchiesta romana sui monopoli di Stato, ma alla fine ne è uscito archiviato. Il suo nome e quello dell’Atlantis hanno fatto però capolino nella vicenda della casa a Montecarlo di Giancarlo Tulliani, il cognato di Gianfranco Fini, dato che l’abitazione in questione venne venduta a una società off shore il cui amministratore era tale James Walfenzao, considerato consulente e amministratore di alcune società per conto di Corallo. Il quale ieri, davanti ai finanzieri che erano andati a perquisirlo nella sua abitazione di Piazza di Spagna, si è dichiarato ambasciatore presso la Fao di Dominiqua, una microscopica isoletta nelle Antille.
Circostanza che ha impedito alla Gdf di svolgere subito la perquisizone regalando tempo prezioso a Corallo, raggiunto infine da una pattuglia di agguerriti legali (l’Atlantis è difesa dall’avvocato Gulia Bongiorno) e dal deputato del Pdl, nonchè membro della commisisone Antimafia, Amedeo Laboccetta che approfittando dello status di parlamentare, davanti agli esterrefatti finanzieri, è poi uscito dall’abitazione portando con sé un computer, sottraendolo dunque agli accertamenti giudiziari: «E’ mio personale, lo avevo dimenticato qua e sono venuto a riprendermelo», ha dichiarato al telefono il parlamentare che fino al 2008 fu procuratore legale di Atlantis in Italia nonchè «ottimo amico di Corallo da anni».
Ora i pm milanesi, infuriati per l’intervento a gamba tesa di Laboccetta, vogliono definire meglio i contorni di una storia che potrebbe portare molto lontano. Sospettano che Ponzellini sia intervenuto con il rilevante finanziamento ad Atlantis per precisi interessi personali tradotti in «guadagni illeciti», nonostante la società, nel periodo d’istruttoria della banca, fosse stata oggetto di accertamenti fiscali per 90 miliardi di euro (poi radicalmente ridimensionati) «che la gravavano d’immensi rischi», presi «in nessuna considerazione dagli organi di Bpm».«Egli appare essersi speso – scrivono i pm – giungendo ad esercitare pressioni sugli organi deputati alla valutazione del finanziamento e dando istruzioni fuorvianti e omissive».
Ma c’è di più. La Gdf ha ricollegato la Atlantis di Francesco Corallo, alla «significativa figura» di Antonio Cannalire, persona molto vicina a Ponzellini e direttamente interessato al business delle macchine da gioco, essendo socio al 33,3% della Jackpot Game srl, nonchè «in relazione con la Sisal» e collaboratore della Capgemini. Inoltre Cannalire risulta consigliere d’amministrazione di M2Holding srl e M2 Pictures srl insiema a Marco Dell’Utri, figlio del senatore Marcello, e ad Alessandro La Monica, legale rappresentante della Atlantis in Italia. Società tutte nel mirino «la cui natura appare alquanto sospetta e da approfondire con le indagini». Che rimangono in gran parte segretate. Una pratica «chiaccherata», secondo alcuni consiglieri di Bpm ascoltati come testimoni per la quale Ponzellini si spese personalmente avendo, secondo gli inquirenti, interessi precisi e ritorni con «guadagni illeciti».
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