NEW YORK (WSI) – La Corte Suprema del Brasile blocca, con otto voti contro tre, il processo di messa in stato d’accusa avviato lo scorso 2 dicembre contro il presidente Dilma Rousseff.
L’impeachment autorizzato dalla Camera del Brasile, nella sua formulazione attuale, infatti, non è valido e va reimpostato. All’origine delle accuse rivolte al presidente brasiliano ci sono i conti del bilancio dello stato che sarebbero stati manipolati nel 2014: la magistratura contabile aveva, per la prima volta in ottant’anni, bocciato tale bilancio in quanto il presidente avrebbe coperto il deficit dei conti con una serie di atti illegali.
Nello specifico, Rousseff avrebbe manipolato le finanze per scopi elettorali e i giudici contabili avevano sanzionato l’operazione con cui prestiti ottenuti dal presidente da parte delle banche di Stato del Brasile, avevano tappato i buchi di bilancio pubblico.
La popolarità di Rousseff in Brasile era calata già l’anno scorso per uno scandalo di corruzione legato alla controllata statale Petrobas, che, pur non coinvolgendola direttamente, aveva comportato gli arresti di alcuni membri della sua coalizione di governo. Tra gli indagati figurava lo stesso Eduardo Cunha, attuale presidente della Camera, il quale ha dato via al processo di messa in stato d’accusa contro Rousseff.
Nel centro di San Paolo almeno 50mila persone hanno manifestato in difesa del governo; in piazza c’è soprattutto la sinistra del Partito dei lavoratori. Secondo la polizia nella manifestazione anti-governativa di domenica scorsa l’afflusso, però, era stato superiore: erano presenti oltre 83mila persone in Brasile. Numeri irrisori se confrontati a quelli raccolti dall’indignazione seguita allo scandalo Petrobas: in marzo a scendere in piazza erano stati in 2 milioni e mezzo.