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Oro e petrolio, i possibili scenari: l’analisi

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Il recente attacco di Hamas contro Israele ha provocato delle conseguenze anche nei mercati azionari e soprattutto per quanto riguarda i future sui contratti di vendita del greggio. Il Brent è salito del 4,2% nella seduta di lunedì, raggiungendo così 89 dollari al barile, mentre oggi è in lieve calo poco sotto gli 88 dollari. Venerdì il prezzo era inferiore a 85 dollari, dopo un calo settimanale del 11,3%.

Nel daily comment di oggi Mark Haefele, Chief Investment Officer della UBS Global Wealth Management, ha voluto commentare l’impatto del conflitto sui mercati e di come la soluzione per evitare il peggio, soprattutto da un punto di vista umanitario, sia una rapida cessazione delle ostilità in corso. Gli investitori sono tutt’ora in allerta per il timore di un’escalation e per questo UBS consiglia una serie di mosse per gestire al meglio il rischio.

Brent in aumento dopo l’attacco di Hamas: i consigli di UBS

Siamo al quarto giorno di questo conflitto tra Hamas e Israele, anche se il premier Benjamin Netanyahu parla ormai di “guerra totale”. Subito dopo la notizia il prezzo del petrolio è aumentato e il Brent è aumentato del 4,2% lunedì toccando un massimo intraday a 89 dollari al barile. Il motivo di questa impennata è dovuto al timore di un’escalation che possa coinvolgere anche gli altri Stati vicini a Israele, con possibili ripercussioni sulle forniture di petrolio. Tra questi, si teme per lo più in un blocco da parte dell’Iran, ad oggi uno dei più importanti esportatori di greggio al mondo.

Davanti a questo scenario, in un daily comment il Global Wealth Management di UBS, Mark Haefele, ha voluto fare il punto della situazione, facendo anche un recap in merito all’andamento del mercato e delle varie asset class.

Le obbligazioni al momento non risentono del timore che c’è per quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese, ma per altri fronti. Per questo UBS consiglia agli investitori di puntare di più al reddito fisso (fixed income) che alle azioni (equity), soprattutto davanti al peggioramento delle tensioni geopolitiche, già elevate col conflitto russo-ucraino e la rivalità USA-Cina. I mercati si trovano ad affrontare un periodo di rallentamento della crescita economica globale e, per quanto riguarda il profilo rischio-rendimento, al momento la migliore scelta è per il reddito fisso. Quindi di prendere in considerazione l’acquisto di obbligazioni “investment grade” con scadenza compresa tra 5 e 10 anni. Anche perché all’orizzonte c’è la possibilità di “un ulteriore raffreddamento dell’inflazione e un rallentamento della crescita globale.“.

Per quanto riguarda il Brent, UBS segnala che al momento la produzione di petrolio nella regione del Levante rimane ridotta, “ma finora non sono state segnalate interruzioni dell’offerta“. Tutto riguarda l’ipotesi di un’ulteriore escalation, il cui timore ha fatto salire i prezzi del petrolio. Per contenere i rischi, si consiglia di aggiungere un’esposizione lunga tramite contratti Brent a più lunga scadenza, “che vengono negoziati a sconto rispetto ai prezzi spot“.

Gli scenari di UBS: dal confronto all’escalation

Il conflitto israelo-palestinese è esploso sabato 7 ottobre, proprio il giorno quando 50 anni prima esplose la guerra del Kippur. Nell’analisi di UBS vengono disposti una serie di scenari, che vanno da quello del confronto diplomatico, con la rapida cessazione delle ostilità, fino a quello più pessimistico: un’escalation regionale.

Nel caso più ottimistico, la riduzione dell’escalation sarebbe il miglior risultato, soprattutto dal punto di vista umanitario. Con una rapida cessazione delle attuali ostilità, i premi per il rischio geopolitico nei mercati tenderanno a svanire rapidamente “e probabilmente ciò accadrebbe in caso di una rapida riduzione delle tensioni“. Se si va invece verso uno scenario più critico, si avrà un confronto tra le parti, più prolungato ma comunque circoscritto alla zona di Israele e Striscia di Gaza. Questo è invece uno scenario catastrofico a livello umanitario: “l’impatto sui mercati finanziari globali si attenua gradualmente in questo scenario“. La nota dolente è che c’è tutto il potenziale per un impatto più duraturo sui mercati e sugli asset locali.

Nel caso di un’escalation a livello regionale, sarebbe inevitabile un’impennata sul prezzo del petrolio nel breve termine. L’attacco potrebbe espandersi fino ad attirare altre nazioni, con il rischio di una maggiore problematica per quanto riguarda le forniture di petrolio. Supponiamo colpisca l’Iran: parliamo di un paese che ha raggiunto i 3,1 milioni di barili al giorno (mbpd) di produzione, il massimo da 5 anni, e decidesse di limitare l’esportazione solo alla metà, circa 1,5 mbpd. Un ulteriore restrizione delle esportazioni, in pieno stile embargo, potrebbe avere un impatto significativo sui prezzi del petrolio nel breve termine.

In tale scenario l’Arabia Saudita potrebbe svolgere un ruolo importante per raggiungere un equilibrio. Sarebbe l’ideale che Arabia allentasse i propri limiti di produzione. Così facendo, si bilancerebbe il mercato in caso di minori esportazioni iraniane, e secondo l’analisi di UBS la direzione sembra sia quella: “i principali ministri dell’Energia dell’OPEC+ hanno ribadito il loro impegno ad adottare misure aggiuntive in qualsiasi momento per sostenere la stabilità del mercato petrolifero.“.

L’oro comincia ad essere sotto pressione

Altro indicatore da visionare è quello dell’oro, da sempre bene rifugio d’eccellenza. UBS segnala che il metallo prezioso è stato recentemente messo sotto pressione. Le prospettive sono diventate più limitate per l’oro che infatti “chiuderà l’anno intorno a 1.850 dollari, dai 1.950 dollari precedenti, e salirà a 1.950 dollari entro la fine di giugno 2024, in calo rispetto ai 2.100 precedenti.“. UBS consiglia comunque di mantenere la posizione, in previsione di una ripresa nei prossimi 6-12 mesi: “l’oro continua ad avere vantaggi di diversificazione in un portafoglio e spesso sovraperforma in periodi di elevati rischi geopolitici.“.

In effetti lo scenario c’è, visto che gli attacchi di Hamas, soprattutto a livello internazionale, sono tra i più gravi degli ultimi decenni. E non sembra ci sia tra le parti l’intenzione di ridurre la violenza. Anzi, il governo israeliano ha affermato che, oltre ai bombardamenti su Gaza e la militarizzazione del confine, verrà imposto un blocco “totale” su carburante e cibo. A tutto ciò si potrebbe aggiungere anche l’invio di navi da guerra, anche se solo per supervisionare la zona, e il cancellamento dei voli da parte delle compagnie aeree.