Una retromarcia completa è improbabile, soprattutto se si considera l’opinione pubblica ancora a favore della Brexit. Ma c’è ancora una piccola possibilità che l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea alla fine non accada. Lo dicono gli economisti di Morgan Stanley in una relazione dettagliata pubblicata questa settimana in cui scrivono che c’è circa il 10% di possibilità che il Regno Unito rimanga nell’Unione europea.
A favore di questo quadro ci sono tre fattori collegati. Il governo britannico potrebbe non riuscire a negoziare una hard Brexit e potrebbe quindi optare per un processo più leggero e lento. In secondo luogo, il peso di Brexit in termini di crescita e di influenza in questa fase si farà sentire e l’opinione pubblica potrebbe spostarsi verso una contrarietà all’uscita dall’Ue. Una volta cambiata l’opinione pubblica potrebbe crearsi una maggioranza di partiti pro europei.
A rendere impossibile una retromarcia piena è però il fatto che il Paese ha invocato l’articolo 50 del trattato di Lisbona e che la procedura per l’uscita dall’Ue a marzo 2019 sia ormai cominciata. Morgan Stanley prevede anche una possibile crisi di governo nel 2018. L’Unione europea potrebbe stringere il governo di Theresa May fra due alternative: piena sovranità ma esclusione dal mercato unico e dall’unione doganale o partecipazione a questi ma rimanendo soggetti alla legislazione Ue. Davanti a questa scelta, il Gabinetto potrebbe spaccarsi.
Se il Regno Unito viene accusato di non avere una visione chiara sulla Brexit, c’è chi muove le stesse critiche all’Unione europea. Jeremy Browne, rappresentante della City presso l’Unione europea, afferma che l’Ue tende a vedere la Brexit più come un problema disciplinare interno che come una questione di relazioni esterne. Secondo Browne, l’Ue non ha un’idea ben delineata sul rapporto che vorrà avere con il Regno Unito in futuro.