Come ampiamente previsto, Boris Johnson è ufficialmente il nuovo leader dei Conservatori britannici e domani diventerà il 77esimo premier britannico prendendo il posto della dimissionaria Theresa May al numero 10 di Downing Street. Nella fase finale della competizione, basata sul voto di circa 160mila iscritti al partito, Johnson, 55 anni, ha incassato la fiducia di oltre 92mila elettori, il doppio rispetto allo sfidante Jeremy Hunt.
Ex ministro degli Esteri e già sindaco di Londra, con un discusso passato da giornalista, il neo leader dei Tory avrà il compito di trovare entro il prossimo 31 ottobre una via d’uscita per il divorzio con la Ue. Un obiettivo che Johnson ha affermato di voler perseguire a tutti i costi, con accordo o senza.
“Grazie per l’incredibile onore che mi avete fatto” ha scritto in un tweet, Johnson, che domani si recherà a Buckingham Palace per ricevere dalla Regina l’incarico di formare un nuovo governo.”Il tempo della campagna è finito e inizia quello del lavoro per riunire il Paese e il partito, realizzare la Brexit e sconfiggere Corbyn. Lavorerò al massimo per ripagare la vostra fiducia”.
Con l’elezione di Boris Johnson, per gli analisti di Moody’s la probabilità che il Regno Unito lasci l’Unione europea senza alcun accordo sulle relazioni future è aumentata. E visto che il ‘no deal’ è sempre più vicino, restano per il Regno Unito ‘significativi effetti negativi’ legati a questo scenario, visto che il governo e il parlamento inglese ‘restano in conflitto sul futuro della Brexit e non vi è alcun segno che questo cambierà in assenza di nuove elezioni.
Considerazioni analoghe sono state espresse del Fondo monetario internazionale. Parlando da Santiago (Cile) a commento dell’aggiornamento al World Economic Outlook dell’istituto di Washington, Gita Gopinath, capo economista dell’istituto di Washington, ha detto che “le prospettive di un no-deal sulla Brexit sono aumentate”.
Anche Getlink, la società di gestione dello strategico tunnel sotto la Manica attraverso cui passano i treni che collegano l’isola al continente europeo, in un monito lanciato poche ore prima dell’ufficializzazione – prevista da tutti i pronostici – di Boris Johnson nei panni di nuovo leader Tory e prossimo primo ministro britannico, ha indicato lo scenario della Brexit no deal come il più probabile, con una previsione sulle proprie entrate nette ridotta a 560 milioni di euro per la fine di quest’anno, contro i 575 milioni stimati in caso di uscita concordata dall’Ue.
“L’assenza di un’intesa sulla Brexit entro il 31 ottobre è diventata molto probabile, lo scenario di riferimento è adesso quello di un no deal”, ha spiegato stamane l’amministratore delegato della società, Jacques Gounon.
Per Azad Zangana, Senior European Economist and Strategist, Schroders, se per certi versi a Johnson fa gioco utilizzare la minaccia del no-deal come strategia di negoziazione, “l’errore fatale è che la matematica parlamentare non è cambiata e non offre sostegno a tale strategia”.
“Data la bassa probabilità di successo di una ri-negoziazione, l’esito più probabile in vista della scadenza della Brexit è quindi quello di un altro posticipo. La promessa di Johnson “do or die” durante la sua campagna manca semplicemente di credibilità. Alla fine potrebbero essere indette le elezioni generali nel tentativo di sbloccare lo stallo. Tuttavia, sondaggi recenti mostrano un collasso drammatico del supporto sia al Partito Conservatore che al Partito Laburista. I Conservatori, che hanno vinto con circa il 43% dei voti nelle elezioni generali del 2017, ora sono solo al 24% (stando agli ultimi 10 sondaggi pubblicati). Al contempo, il maggiore partito di opposizione è passato dal 41% al 24%”.
Sul fonte economico:
“Mentre la Brexit continuerà a creare divisioni, l’espansione fiscale riceverà un sostegno più generalizzato. Dopo anni di austerity, Johnson quasi certamente terrà fede alle sue promesse della campagna per allentare la politica fiscale. La spesa pubblica come percentuale del Pil è al minimo dall’anno fiscale 2003/2004. Intanto, il gettito fiscale ha toccato i massimi dal 1985/1986. Sono probabili degli sgravi fiscali e un certo aumento della spesa, ma entrambi richiederanno tempo per avere un impatto significativo sull’economia. Sapremo di più quando sarà nominato un nuovo Cancelliere” conclude Zangana.