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Corbyn dice si a “secondo referendum” Brexit. Ma è un bluff

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Il partito laburista britannico Labour sosterrà ufficialmente mercoledì 3 emendamenti ai Comuni volti ad allontanare il rischio d’una Brexit “no deal” laddove May non riesca a far passare un suo accordo con l’Ue sul divorzio: incluso uno favorevole, in caso di stallo protratto, alla convocazione di un secondo referendum.

Lo ha anticipato ieri Jeremy Corbyn ai deputati del gruppo laburista, accusando la premier Tory di “perdere sconsideratamente tempo” per cercare di imporre un aut aut dell’ultimo minuto fra la sua linea e “un disastroso no deal”.

La notizia rappresenta una svolta rispetto al passato, perché il leader Labour non si era mai esposto così apertamente su questa possibilità. Anzi, era stato spesso accusato di essere ambiguo. “La novità”, dicono fonti ben informate del partito laburista britannico, è che “ora il voto popolare diventerà la priorità se le opzioni sul tavolo resteranno il piano May o il No Deal”.

Ecco perché si tratta probabilmente di un bluff da parte di Corbyn.

La mossa della disperazione per Corbyn

In realtà Corbyn, dalle idee tendenzialmente euroscettiche, non vuole e non ha mai voluto arrivare a un second referendum. Quello che vorrebbe invece è che si tengano nuove elezioni. Un po’ come succede per i conservatori, anche i laburisti non hanno una linea comune chiara sulla Brexit. Ci sono addirittura molti membri del suo partito che sono proprio schierati a favore di una Brexit.

E Corbyn doveva scegliere quale delle fazioni interne appoggiare e quale invece alienare. Pesanti sono state dunque le critiche arrivate dai media e dal presidente dei Tory. Brandon Lewis ha attaccato il leader dei laburisti, affermando che, appoggiando un secondo referendum, “tradisce la volontà dei britannici”.

“Invece di lavorare per contrastare la Brexit in questa fase critica – ha aggiunto il leader conservatore – Jeremy Corbyn dovrebbe mettere l’interesse del Paese prima di quello del suo partito, sostenendo un accordo che rispetti il risultato del referendum”.

Voci di slittamento anche fino al 2021, May contraria

Nel frattempo, nonostante il pressing dell’Unione europea, che punta a un rinvio della Brexit, la premier britannica Theresa May insiste nel dire che il divorzio da Bruxelles il 29 marzo è ancora possibile. E che rimandare tutto non aiuterebbe a risolvere i problemi esistenti.

“È alla nostra portata lasciare con un accordo il 29 marzo”, ha detto ieri la premier britannica da Sharm el-Sheikh dopo che il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk aveva rivolto un appello a Londra affinché chieda un rinvio.

Estendere l’articolo 50 per evitare una Brexit senza accordo sarebbe “una soluzione razionale” e l’Ue “dimostrerebbe comprensione”. Tuttavia, ha spiegato Tusk, May “ha detto di credere di poter ancora evitare questo scenario”. E da qualche giorno sui media si parla dell’ipotesi che l’UE chieda di prolungare il periodo di negoziati addirittura di altri due anni fino al 2021.