Prima del fatidico voto del giugno 2016 una mole di studi aveva in ogni modo cercato di calcolare l’effetto economico negativo che un’eventuale vittoria della Brexit avrebbe provocato negli anni successivi. Se molte di esse possono ora sembrare eccessivamente pessimistiche, a distanza di oltre tre anni è possibile fare un bilancio su quanto terreno abbia realmente perso Londra nei confronti degli altri Paesi.
Secondo uno studio di Bloomberg Economics condotto da Dan Hanson il conto, a fine 2019 è stato pari a 170 miliardi di dollari di Pil in meno, e altri 70 si aggiungerebbero in questo 2020 il cui si vedrà finalmente ufficializzato il recesso del Regno Unito dall’Ue.
Nel dettaglio, la crescita del Pil è scesa dal 2 all’1% negli anni successivi al voto sulla Brexit. Tenendo conto delle performance degli altri Paesi del G7 Hanson stima che, a causa dell’esito del referendum, l’economia britannica produce circa il 3% in meno rispetto a quanto non avrebbe fatto in caso di vittoria del Remain.
Nell’immediato, gli effetti della vittoria della Brexit non furono particolarmente pronunciati, grazie al buon andamento dei consumi interni; in seguito, però, la svalutazione della sterlina ha favorito un aumento dell’inflazione che ha contribuito a ridurre il potere d’acquisto dei britannici. Quello che invece non sembra essere cambiato è il trend discendente del tasso di disoccupazione, proseguito in modo pressoché lineare portandosi all’attuale 3,8% (a inizio 2016 superava il 5%).
Brexit, conseguenze nel 2020 e oltre
Gli strascichi della Brexit non si fermeranno al 2020, comunque. Molto dipenderà dagli accordi che verranno raggiunti fra Ue e Regno Unito, dai quali dipenderanno una maggiore o minore facilitià negli scambi.
“Mentre il Regno Unito cerca un compromesso nelle nuove relazioni commerciali con l’Ue e affronta la sfida della produttività che ha ostacolato la crescita dalla crisi finanziaria, è probabile che il costo annuo della Brexit continui ad aumentare”, ha concluso Hanson.