Sebbene l’accordo sulla Brexit sia in vigore solo da poco tempo, ha già avuto un impatto sul settore finanziario: “Per decenni Londra è stata considerata il centro del trading azionario transnazionale, ma con Brexit e la fine del periodo di transizione, sembra non essere più così”, afferma Volker Schmidt, Senior Portfolio Manager di Ethenea Independent Investors.
Aquis Exchange, la seconda piattaforma di trading per le azioni europee nel Regno Unito, ha dichiarato che all’inizio di gennaio il 99,6% delle negoziazioni è stato effettuato attraverso la piattaforma gemella di Parigi.
Lo stesso è da Cboe Global Markets, Inc. (precedentemente Chicago Board Options Exchange): circa il 90% delle operazioni di trading azionario dell’Unione Europea è stato eseguito ad Amsterdam, aggiunge Schmidt, quando nel 2020 quasi l’intero volume era stato gestito da Londra.
“Nel complesso, soltanto nel primo giorno di trading dell’anno, circa 6 miliardi di euro sono stati spostati da Londra all’Europa continentale”, spiega Schmidt. “In questo modo, non solo il Ministero delle Finanze britannico di conseguenza perde il relativo gettito fiscale, ma è ragionevole supporre che in futuro le società preferiranno quotare le loro attività nel mercato comunitario per beneficiare di condizioni di trading più fluide e senza intoppi. Questo dimostra chiaramente che Londra ha già perso il suo status di centro finanziario europeo e questo processo probabilmente sarà irreversibile”.
Brexit, l’impatto sulle catene di approvvigionamento
Uno dei punti chiave dell’accordo Brexit riguarda l’assenza di dazi nel commercio bilaterale tra Regno Unito e Unione Europea. Tuttavia, poche settimane dopo, i problemi stanno diventando sempre più evidenti. “Da un lato, i piccoli commercianti al dettaglio e le aziende di trasporto si stanno lamentando della crescente burocrazia e dell’aumento di carte che questo comporta”, afferma l’esperto di Ethenea
“Ci sono code alla frontiera, camion che vengono respinti e catene di approvvigionamento che stanno collassando. Molte società di trasporto hanno provvisoriamente sospeso le consegne. Ma anche le grandi aziende sembrano essere state colte alla sprovvista dalle incertezze e sembrano non essere adeguatamente preparate. Affinché le merci possano beneficiare del trattamento duty-free, è necessario dimostrarne la provenienza dall’Unione Europea o dal Regno Unito”, spiega Schmidt. “Tuttavia, se le merci vengono importate nel Regno Unito e successivamente esportate nell’Unione Europea – con poca o nessuna ulteriore lavorazione – si applicherebbero i dazi doganali. Marks & Spencer, ad esempio, ha il suo marchio di dolciumi “Percy Pig” prodotto da Katjes in Germania, li importa nel Regno Unito e da lì li distribuisce anche in Irlanda: d’ora in poi dovranno pagare i dazi doganali.
Per questo motivo, in futuro, le aziende si troveranno di fronte alla scelta di pagare gli oneri doganali o di riorganizzare le loro catene di approvvigionamento, in modo che i magazzini possano essere riforniti senza dover coinvolgere le strutture britanniche. Quest’ultima sarà una sfida enorme soprattutto per le piccole e medie imprese”.
Diritti di voto revocati agli investitori
“L’11 marzo 2019, le compagnie aeree Ryanair e Wizzair hanno annunciato che in caso di Brexit avrebbero revocato i diritti di voto ai loro azionisti britannici e all’inizio di quest’anno hanno effettivamente implementato la revoca,” afferma Schmidt. “Alla base di questa decisione c’è il regolamento secondo il quale i voli all’interno dell’UE possono essere operati solo da compagnie possedute per la maggioranza da azionisti dell’Unione Europea o almeno sotto il loro controllo.
Nel peggiore dei casi il risultato sarebbe stato lo stop dei voli. Nonostante Ryanair abbia sede in Irlanda, un gran numero dei suoi azionisti, principalmente investitori istituzionali e fondi, provengono dalla Gran Bretagna. Lo stesso discorso vale per Wizzair che ha sede in Ungheria” chiariscono da Ethenea.
“Questi sono solo i primi effetti e ce ne saranno molti altri, alcuni dei quali del tutto inaspettati”, conclude Schmidt. “Riteniamo quindi opportuno essere flessibili e diversificati in tutti i settori, per essere pronti in caso di eventuali futuri sviluppi”.