Per colmare il grosso buco di bilancio che si verrà a formare in seguito alla Brexit, ossia all’addio del Regno Unito dall’Unione Europea, le autorità di Bruxelles stanno studiando l’imposizione di non una ma tre nuove tasse.
Oltre alla web tax di cui si è già ampiamente parlato, allo scopo di recuperare i circa 10 miliardi di euro annui stimati di minore compartecipazione del Regno Unito al budget, il parlamento Ue sta pensando di introdurre anche un’imposta sulle transazioni finanziarie e una tassa di tipo “ambientale”, che secondo Italia Oggi sarebbe destinata a punire chi inquina maggiormente.
Su quest’ultimo punto in febbraio l’Ocse aveva esortato i governi a tassare con maggiore aggressività le energie inquinanti e in particolare le emissioni di CO2. Nel rapporto si avvertiva anche che i livelli di imposizione fiscale non sono sufficienti a combattere il cambiamento climatico in modo efficace.
Quanto alla tassa sulle transazioni finanziarie due sviluppi politici recenti hanno contribuito a fare tornare in auge la proposta di una FTT. In primis il voto sulla Brexit, dal momento che ha escluso dai giochi uno dei grandi partner contrari: il Regno Unito. In secondo luogo l’accordo per la formazione di una grande coalizione di governo in Germania stretto dalla Cancelliera Angela Merkel con i Social Democratici di Martin Schulz, favorevoli all’imposizione di questo tipo di tassa su base europea da quando è scoppiata l’ultima crisi.
Della web tax sui colossi internazionali dell’hi-tech (GAFAM) si sa che sarà compresa tra i 2 e il 6% del fatturato e non del profitto. L’ipotesi di una Direttiva comunitaria su tale frangente è originata da una lettera congiunta alla presidenza del G20 da parte dei ministri delle finanze di Regno Unito, Francia, Germania, Spagna, Italia, e della Commissione Europea che chiedono un’azione congiunta per la revisione delle norme fiscali per le società digitali.
“È urgentemente necessaria una risposta globale alle sfide fiscali sollevate dall’economia digitale. Le norme attuali portano a carenze fiscali in Paesi in cui le multinazionali conducono attività significative e generano profitti in gran parte basati sul contributo degli utenti di prodotti e servizi digitali, creando così distorsioni del mercato e minando la sostenibilità dell’imposta sulle società che governano il sistema”.
Le prime cinque imprese digitali per capitalizzazione (Amazon, Google, Apple, Microsoft e Facebook, che vengono raggruppati sotto l’acronimo GAFAM) realizzano il 60% delle vendite e dei profitti fuori dagli Stati Uniti, lasciandovi solo il 10% delle tasse pagate. Stando ai calcoli effettuati in uno studio curato dalla Commissione Bilancio della Camera dei Deputati, si stima che in Italia il mancato introito sia stimato in circa 5 miliardi di euro.
Con questi numeri alla mano, è facile capire come mai si stiano intensificando gli incontri da parte di vari ministri economici europei circa l’introduzione di una web tax che faccia da ulteriore leva “fiscale” per riequilibrare evidenti “distorsioni” di un settore, quello a “forte impatto tecnologico”, che avrà un ruolo sempre più determinate nell’economia ormai sempre più “digitale”. In prima linea ci sono Francia, Italia, Germania e Spagna, che possono contare anche sul sostegno di Austria, Bulgaria, Grecia, Portogallo, Slovenia e Romania.