Il parlamento britannico ha sancito ancora una volta la sconfitta del governo. Le camere hanno deciso come previsto di non appoggiare una Brexit “no deal” (cioè lasciare l’UE senza un accordo). Il secondo passo ora sarà il voto di giovedì 14 marzo sull’opportunità di chiedere una proroga della deadline dell’articolo 50 che sancisce l’uscita del paese dall’Unione Europea il 29 marzo. Secondo Lombard Odier IM questa soluzione sarà accettata. In quel caso il 21 marzo sarà l’UE a esprimersi sulla proroga. Se la mozione non passa, invece, Londra divorzierebbe da Bruxelles senza un patto. Insomma, regna il caos.
Il voto del 13 marzo va interpretato come l’ennesima sconfitta per May perché è avvenuto su una mozione modificata da un emendamento a cui il governo era contrario. La mozione originaria dell’esecutivo era contraria al “no deal”, ma in termini meno netti rispetto a quelli posti dall’emendamento. In tutto, 321 parlamentari hanno votato a favore della mozione emendata e 274 contro. La mozione stabilisce che Londra non lasci in alcun caso l’Ue senza un’intesa. Ma non è vincolante, pertanto ci sono ancora delle possibilità – seppure minime – che il Regno Unito possa trovarsi fuori dall’Unione Europea con un no deal caotico.
Passa mozione Spelman: ora elezioni preferite a referendum
Secondo Lombard Odier IM la possibilità che questo avvenga è comunque bassa. Bisognerebbe che Londra o Bruxelles neghino la possibilità di far slittare l’articolo 50. In generale i due scenari possibili principali sono dunque due: nuove elezioni o secondo referendum, con la prima opzione che sembra quella preferita dalle due fazioni principali, Tories e Labouristi.
Nella proposta presentata dal governo May si diceva che la Camera dei Comuni rifiutava un’uscita senza accordo il prossimo 29 marzo, ma diceva anche che il “no deal” restava lo scenario predefinito se non fosse stato raggiunto un accordo tra Regno Unito e Unione Europea.
Il si alla mozione emendata che esclude l’uscita senza accordo è stata una parziale sorpresa e cambia le carte in tavola. È arrivata prima del no all’emendamento sul cosiddetto compromesso di Malthouse. L’emendamento era stato presentato dalla deputata conservatrice Caroline Spelman ed è stato sostenuto da tutti i partiti dell’Opposizione. Da parte sua il governo ha cercato di bloccarne in tutti modo l’approvazione. Un deputato intervenuto durante il dibattito dell’aula ha parlato di “crisi istituzionale” nel Regno Unito.
Brexit apre una crisi costituzionale nel Regno Unito
La mozione del governo presentata per il 14 marzo fissa a mercoledì 20 marzo la scadenza per i parlamentari per approvare un’intesa sulla Brexit. Il testo dice che se un accordo sarà passato entro allora, il governo cercherà un’estensione dell’articolo 50 – attivato dopo il referendum del 23 giugno 2016 per mettere in moto la macchina politico-burocratica che dovrebbe portare all’uscita del Regno Uniti dall’Unione – fino al 30 aprile. Se l’accordo non passa, allora il governo avrà bisogno di un’estensione più lunga. Questo imporrebbe al Regno Unito di prendere parte alle elezioni europee di fine maggio.
Secondo Charles St Arnaud, Senior Investment Strategist di Lombard Odier IM, il fatto che il parlamento abbia bocciato l’accordo con l’Unione Europea per la Brexit promosso dalla premier Theresa May rappresenta una sconfitta schiacciante per il piano del Primo Ministro. Sono 391 i deputati che ieri hanno votato contro e 242 quelli che si sono schierati a favore dell’accordo. La bocciatura è meno clamorosa rispetto a quella di gennaio, quando i deputati in disaccordo con la leader dei conservatori e del paese erano 432 e quelli a favore 202.
“Avendo fondamentalmente accantonato l’accordo, l’attenzione ora è tutta rivolta ai prossimi passi da intraprendere, soprattutto perché mancano solo 16 giorni alla scadenza della deadline per l’uscita del Regno Unito dall’UE”, avverte St Arnaud.
“Al di là di questi eventi, permane una forte incertezza”, secondo il manager. La prima domanda riguarda cosa spera di ottenere il governo britannico attraverso la proroga dell’articolo 50 per uscire da una situazione di stallo per il futuro della Brexit. La deadline verrà posticipata per indire nuove elezioni, un secondo referendum o ulteriori negoziati?
L’Ue ha fatto capire che le trattative si sono concluse e che non la necessità di negoziare oltre. A questo punto – osserva St Arnaud – “è improbabile che si continui con i negoziati in quanto è molto difficile che emerga un nuovo elemento significativo per uscire da questa situazione di stallo“.
Ipotesi nuove elezioni preferita rispetto al secondo referendum
Mentre un secondo referendum sarebbe il modo più democratico e diretto per sbloccare l’impasse della Brexit, crediamo che gli attori principali, ovvero il Primo Ministro May e il leader laburista dell’opposizione Jeremy Corbyn, preferirebbero arrivare alle elezioni, anche se notiamo che Corbyn ha timidamente avanzato l’ipotesi di un secondo referendum. Ci sono molte ragioni per cui i politici preferirebbero le elezioni piuttosto che il referendum, soprattutto quella di evitare un ulteriore frazionamento dei propri partiti.
“Le divisioni lungo l’asse Remain-Leave potrebbero portare a ulteriori defezioni di partito, probabilmente a vantaggio del gruppo indipendente, e potrebbero portare allo scioglimento dei partiti tradizionali“. Inoltre, “visto che i recenti sondaggi suggeriscono un piccolo vantaggio per i conservatori, il Premier May può contare su un ulteriore incentivo per spingere verso le elezioni“.
Con il forte rischio di coda legato al “no deal” che potrebbe essere rimosso, la valuta locale dovrebbe ripartire dai livelli minimi attuali rispetto al dollaro e all’euro, secondo il manager. Inoltre “è probabile che si apprezzi nel medio termine”.
Anche con slittamento articolo 50 permarrà l’incertezza
“Tuttavia, continuerà a permanere l’incertezza, soprattutto per quanto riguarda le prossime mosse (elezioni o referendum) e quali saranno gli esiti delle nuove relazioni a lungo termine tra il Regno Unito e l’UE“.
“La vittoria dei conservatori alle elezioni potrebbe riportare il Regno Unito alla situazione attuale, ovvero quella di un paese incapace di decidere quali siano i rapporti migliori (da stringere), e persino di ripristinare potenzialmente l’opzione “no deal” per la Brexit”.
“Una vittoria del partito laburista porterebbe probabilmente un po’ di certezza in più, in quanto i leader del partito ha sostenuto l’unione doganale“. Tuttavia, ciò potrebbe andare a scapito di una maggiore incertezza sulle politiche economiche nazionali.
Il principale rischio di downside nei prossimi giorni è legato a ciò che succederebbe se i deputati dovessero votare contro il “no-deal” e anche contro l’estensione della deadline dell’articolo 50. Questo farebbe sì che, quasi per caso, si arrivi ad una Brexit senza alcun accordo e sarebbe un’ulteriore conferma del caos che pervade la scena politica del Regno Unito.
“Riteniamo che le probabilità che questo scenario si concretizzi siano molto basse, inferiori al 5%”. Tuttavia “restano ancora possibili e gli investitori devono tenerne conto nel breve periodo”.