Sono momenti di grande pathos alla Camera dei Comuni inglese. Dopo che i deputati si sono opposti all’accordo stretto da Theresa May sulla Brexit e anche allo scenario di no deal “in qualsiasi circostanza”, a Westminster i deputati hanno votato a favore dell’estensione dell’attivazione dell’articolo 50, la procedura di divorzio di Londra da Bruxelles.
Ora Downing Street chiederà all’UE la possibilità di rimandare la Brexit fino al 30 giugno. Una qualsiasi estensione oltre quella data dei termini implicherebbe che Londra partecipi alle elezioni europee di fine maggio.
L’emendamento che proponeva di indire un secondo referendum sulla Brexit è stato bocciato dalla stragrande maggioranza dei parlamentari britannici (con una maggioranza schiacciante di 249 voti). Il governo era contrario e anche 18 parlamentari del Labour hanno espresso parere contrario. I favorevoli erano 25. Il voto sulla proroga della scadenza del 29 marzo si è tenuto intorno all 19:25 italiane, con dieci minuti di ritardo rispetto al previsto.
Slittamento articolo 50: il 21 marzo tocca all’UE votare
Passata la proposta di prorogare la Brexit, ora la palla passa all’Unione Europea. Nel summit del 21 marzo dovrà decidere se accettare o meno di spostare in avanti la deadline. Le autorità europee hanno fatto sapere che approveranno la proposta solo se aumenterà le chance di un ok all’accordo già stretto tra le due parti.
La premier Theresa May spera ancora di riuscire a convincere i 75 conservatori e i 10 unionisti nordirlandesi del DUP che il 12 marzo hanno votato contro il suo piano. Si tratta di un pi desiderio dopo due bocciature in neanche tre mesi del suo Withdrawal Agreement.
La sua idea è quella di metterli davanti alla dura realtà dei fatti. Costringendoli a votare per il suo deal la prossima settimana prima di andare al summit Ue. Facendo capire che senza l’accordo rischiano che la Brexit sia alla fine più morbida di quella prevista dal suo deal (come vuole il partito all’Opposizione del Labour). Oppure che non ci sia affatto una Brexit (scenario meno probabile).
La strategia di May per ottenere approvazione del suo deal
Se questa strategia non funziona, May avrebbe un piano di riserva. Tornare da Bruxelles con un’estensione a lungo termine della Brexit, di anche due anni. Questo aumenterebbe ancora di più il rischio di una Brexit morbida che ai Brexiteer della prima ora non piace per nulla.
Il problema del ragionamento della leader di un partito spaccato in due è che in primo luogo non è detto che l’UE non accetti di ritardare la Brexit senza ottenere garanzie in cambio. In secondo luogo, non tiene conto dei motivi molto “forti” (politici ancor più che economici) per cui non è stato approvato il suo deal. Ovvero per via della paura che Londra rimanga intrappolata nel backstop irlandese a oltranza. Il backstop prevede che Belfast abbia accesso al mercato comune e all’unione doganale europei. Un confine aperto che allontanerebbe nei fatti Belfast dal Regno Unito.
Per ovviare a questi problemi l’UE ha fatto qualche concessione al Regno Unito sul backstop, una “rete di protezione” legale per evitare una frontiera “fisica” tra le due Irlande. Ma senza offrire garanzie sufficienti dal punto di vista giuridico, tali da convincere i conservatori più euro scettici a votare a favore del piano di May.
Brexit estesa: cosa succede adesso?
Quando mancano due settimane alla Brexit, ancora non c’è una chiara convergenza verso un’opzione particolare. Il governo sembra aver perso fiducia e adesso il controllo potrebbe essere preso dalla maggioranza moderata in parlamento che spinge verso un rinvio della Brexit. Sempre che non vinca l’ostruzionismo degli euroscettici per andare verso una Brexit senza accordo, che resta la soluzione “di default” nonostante il voto contrario del 13 marzo.
Le possibilità sono talmente tante tuttora, che “è difficile prevedere cosa succederà“, secondo Roberto Rossignoli, Portfolio Manager di Moneyfarm. Le elezioni anticipate per risolvere la fase di stallo sono sicuramente una delle possibilità. I mercati non scontano abbastanza il pericolo di un no deal, secondo il gestore.
“I mercati non sembrano ancora considerare seriamente l’ipotesi di un’uscita del Regno Unito senza accordo, ma il rischio di questa possibilità resta sottovalutato“. Più incerta invece è la reazione rispetto a un’estensione dell’articolo 50.
“Il rinvio non è una soluzione neutra, ma bisognerà valutare con quali prospettive esso prenderà forma”, ossia se sarà un “rinvio con secondo referendum, rinvio tecnico, rinvio con elezioni generali”. E bisognerà vedere anche quali sono le condizioni che porrà l’Unione Europea.