Mentre la Brexit resta su un binario morto, il popolo pro Remain è tornato sabato nelle strade di Londra con l’obiettivo di sempre: un secondo referendum, destinato nelle speranze di chi non ha mai accettato il risultato del 2016 – e men che meno l’accetta nel caos di oggi – a riportare il Regno esattamente dov’era 3 anni fa, ovvero dentro al Ue.
Un moto popolare che ha portato in strada “oltre un milione di persone”, stando ai promotori. Oltre i 700.000 rivendicati nell’analogo raduno dell’ottobre 2018, qualcosa che non si vedeva in Gran Bretagna dalle oceaniche proteste contro la guerra in Iraq di Tony Blair e George W. Bush del 2003.
Una folla in carne ed ossa sostenuta dall’esercito virtuale di quasi 4,5 milioni di sottoscrittori della petizione online al Parlamento per la revoca dell’articolo 50, ossia l’atto di divorzio da Bruxelles, che vuole rimettere in gioco tutte le alternative, prima di far scadere il breve rinvio a doppia opzione (22 maggio con approvazione dell’intesa, 12 aprile senza) appena concesso dall’Ue.
Nel frattempo si fa sempre più critica la pozione di Theresa May tanto che voci insistenti parlano di dimissioni. Diversi ministri insistono per avere un leader ad interim per completare il processo della Brexit, scrivono i giornali di Londra.
Secondo il “Sunday Times”, almeno sei ministri importanti vogliono che il suo vice, David Lidington, prenda la guida dell’esecutivo fino a quando non ci saranno le elezioni formali. Le tensioni, scrive il giornale, sfoceranno nella riunione di gabinetto programmata per oggi quando i ministri minacceranno le dimissioni in massa se la May non lascerà la poltrona da primo ministro.
Anche il “Telegraph” e il “Daily Mail” parlano della rivolta contro la premier. Il “Telegraph” segnala l’ex ministro all’Istruzione Nicky Morgan, pro-Ue, come possibile successore della May che potrebbe subentrare ai negoziati sulla Brexit e alla leadership dei conservatori ricompattando il partito.