Uscire dal mercato comune mantenendo l’unione doganale: è la via di mezzo sulla quale si apprestano ad accordarsi la premier Theresa May e il leader dei Labouristi all’Opposizione Jeremy Corbyn. Scongiurato lo scenario no-deal, la situazione del Regno Unito dopo la Brexit sarebbe più simile a quella della Turchia che a quella della Norvegia.
Perché il governo del Regno Unito ora improvvisamente vuole l’unione doganale
L’ipotesi era nell’aria da mesi. Anziché abbandonare totalmente l’Unione Europea, perché Londra non divorzia restando però membro dell’unione doganale. È una soluzione che accontenta tutti, mentre quella del no-deal o della “hard Brexit” avrebbe accontentato solo gli irriducibili della Brexit – European Research Group (ERG) e DUP – che infatti ora sembrano pronti a chiedere la testa di May e fare cadere il governo guidato da una coalizione formata dai loro partiti, conservatori e unionisti nordirlandesi.
La “Brexit soft” è lo scenario sul quale speravano gli europei fin dall’inizio dei negoziati con Londra. Ma May e il suo partito avevano deciso di seguire la linea dura fin dal 2017, promettendo di uscire da mercato comune e unione doganale. Ora è l’Ue ad avere il coltello dalla parte del manico e tutti i paesi dovranno accettare entro il 12 aprile la proposta delle autorità britanniche perché si proceda a un divorzio a metà, senza che Londra rinunci all’unione doganale.
Dopo le molteplici bocciature alla Camera dei Comuni del suo deal e di soluzioni alternative non vincolanti, la primo ministro britannico si trova spalle al muro. Per questo May ha accettato di ammorbidire la sua posizione e tendere la mano al nemico Corbyn, capo dei Labouristi all’Opposizione.
Il governo vuole rinegoziare i rapporti futuri che legheranno Londra a Bruxelles e rivedere il documento di 36 pagine concordato con gli europei il 25 novembre 2018. Si tratta di una bozza post Brexit fondata su un accordo di libero scambio sulla falsa riga di quello firmato tra UE e Canada.
Uscire dal mercato comune, mantenendo l’unione doganale
Downing Street non ha alcuna intenzione di rinunciare all’uscita dal mercato comune: un’area da 500 milioni di consumatori dove viene garantita in teoria la libera circolazione dei beni, delle merci, dei servizi e dei capitali.
Uscendo, il Regno Unito sarà in grado di assumere di nuovo il controllo di quanto entra ed esce dal paese. Inclusi i lavoratori provenienti dall’UE. È uno di quei fenomeni che si sono intensificati negli ultimi anni, in particolare dopo l’annessione dei paesi dell’Europa centrale. E che è alla radice delle mire “euro secessioniste” degli inglesi partigiani della Brexit della prima ora.
Restando nell’unione doganale, Londra dovrà però applicare gli stessi dazi alle importazioni delle merci degli altri membri dell’unione doganale senza discriminazioni tariffarie, come stabiliscono le regole in vigore. A partecipare all’unione doganale ci sono anche paesi che non sono membri dell’UE, come Andorra, Il Principato di Montecarlo, Saint-Marin e la Turchia (dal 1963). In cambio Londra continuerà a beneficiare dell’assenza di diritti doganali per l’ingresso delle sue merci nell’UE (e viceversa).
Un statuto vicino a quello della Turchia che della Norvegia
Lo statuto del Regno Unito nei confronti dell’UE si avvicinerebbe dunque a quello della Turchia. Al contrario, l’Islanda, la Norvegia e il Lichtenstein, i membri dell’area economica europea, hanno scelto di mantenere l’accesso al mercato comune. Implica un allineamento delle norme Ue e il rispetto della libera circolazione dei beni, dei capitali, dei servizi e delle persone.
Su questo punto Londra non ne vuole sapere. I quali, anziché far parte dell’unione doganale, hanno preferito concordare patti di libero scambio bilaterali piuttosto. Questo permette loro di negoziare liberamente anche con paesi terzi. Era un’altra delle ragioni che secondo i giustificava la separazione dall’UE.
Una concessione enorme per irriducibili della hard Brexit
Il governo traballa proprio per queste divisioni insanabili interne al partito dei Tories. Tra l’ala moderata e quella dei Brexiteer della prima ora. Secondo cui l’unione doganale “tradisce” la loro visione di Brexit. Che era anche – sempre nella loro opinione – quella che era stata anche “venduta” al popolo britannico quando a giugno di tre anni fa ha votato con il 52% dei consensi a favore della Brexit.
Una Brexit dura è per loro il mezzo ideale per liberarsi della burocrazia europea e permettere a Londra di attuare una politica commerciale autonoma libera da dazi e norme rigide. Tutti i membri dell’unione doganale devono lasciare alla Commissione Europea il compito di gestire e intrattenere le trattative commerciali con dei paesi terzi.
Il paese non avrebbe invece più voce in capitolo. Dopo la Brexit il governo britannico non avrebbe più la possibilità di validare o di emendare il perimetro dei prossimi negoziati in materia. Cosa che invece succedeva prima, quando era uno Stato membro.
Da parte sua il Labour, sotto la leadership di Corbyn per lo meno, non ha avuto sempre una linea precisa sulla Brexit. Ma in linea di massima ha fatto capire di essere favorevole all’unione doganale e di essere contrario alla libera circolazione delle persone.
Il segretario britannico degli Interni Sajid Javid ha avvertito in questi giorni drammatici di corsa contro il tempo per evitare un no dea, che “non solo non riprenderemo il controllo sul commercio, ma ci obbligherà a cedere una cosa di cui disponiamo già”. Al momento l’UE tiene una linea per lo più protezionista e di dazi, tra l’altro.
Considerando che nelle trattative commerciali, vale la legge del più forte, il Regno Unito, un po’ come accade alla Turchia, si troverà isolato senza poter dettare le sue condizioni. La Nuova Zelanda, per esempio, nonostante sia un paese membro del Commonwealth, ha preferito tener discussioni prioritarie con l’UE a metà 2018 piuttosto che con Londra.
Attenuata la particolarità della situazione nordirlandese
L’unione doganale rappresenta dunque uno smacco per i partigiani della Brexit “hard”. In compenso offre due grandi vantaggi per il Regno Unito e per l’UE. Elimina in gran parte il rischio di un ritorno alla frontiera fisica tra le due irlande. Ed evita il bisogno di un “backstop”, la famigerata rete di protezione provvisoria invisa ai Brexiteer più radicali, ma che era resa necessaria per evitare un confine “duro” tra Eire e Irlanda del Nord, con tutti i problemi che comporta.
I partigiani della Brexit ‘dura’ (ERG) e gli unionisti nordirlandesi (DUP) si sono sempre opposti a questo piano provvisorio, presente nel piano di May, perché temevano che Londra sarebbe durato all’infinito e che il Regno Unito sarebbe rimasta intrappolato nel backstop.
Questo è ed è sempre stata la principale questione foriera di litigi e divisioni in seno al Parlamento di Westminster. I controlli alla dogana sulle merci provenienti dall’Irlanda del Nord non saranno necessari al loro ingresso nell’UE. Soprattutto se l’Irlanda del Nord resta allineata alle norme del mercato comune europeo, come previsto dal trattato di divorzio della Brexit, per lo meno “momentaneamente”.
Scambi liberi e fluidi, ma controllati
Restare nell’unione doganale permetterebbe anche di evitare conseguenze caotiche e continuare ad avere scambi commerciali relativamente fluidi con l’UE. Dei controlli sanitari saranno probabilmente necessari tra le due entità e questo potrebbe causare delle code.
La Turchia, nonostante rimanga nell’unione doganale, deve far fronte a file di camion sistematiche alla frontiera con la Bulgaria. Questo è dovuto al fatto che ci sono controlli rigidi dei migranti, ma anche perché l’accordo con gli europei è limitato ai prodotti manifatturieri e non a quelli agricoli.