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Giuliano Noci: “Brics, un cartello di materie prime”. E l’Europa, “il grande assente”

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Intervista in esclusiva per Wall Street Italia a Giuliano Noci, Prorettore del Politecnico di Milano per la Cina, su Cina, Brics e nuovi equilibri mondiali. A cura di Leopoldo Gasbarro.

I Brics si allargano e avranno altri sei “membri effettivi” dal primo gennaio 2024: Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti.

Un’espansione storica, che porta ad interrogarsi sulle trasformazioni dell’economia mondiale: questo il focus dello speciale di Wall Street Italia, a cura del Direttore di Wall Street Italia, Leopoldo Gasbarro, dedicato ai Brics e alla situazione in Cina, Giuliano Noci, Prorettore del Politecnico di Milano per la Cina, .

Noci: “I Brics diventano un cartello di materie prime”

Nella diretta, Noci ha affermato che, con questa annessione, i Brics si affermeranno come un grande cartello di materie prime:

Per quanto riguarda i combustibili fossili, i Brics allargati a questi sei paesi avranno sostanzialmente il 40% della produzione di petrolio e della produzione di gas, i 70% della produzione di carbone, sul fronte dei metalli i Brics allargati produrranno l’80% del platino, il 70% del palladio, l’80% dell’alluminio e il 50% del rame, insomma ci sono tutti gli elementi per poter dire che se c’è un elemento che i questo momento qualifica come elemento di coordinamento tra questi soggetti è il fatto di rappresentare un pivot formidabile per quanto riguarda la produzione di materie prime nel mondo.

Secondo Noci, i motivi che hanno portato a questo ampliamento sono politici ed economici, con Cina e Russia interessate a costruire una governance alternativa a quella del G7.

Ma oltre a questi accordi, c’è anche una paura monetaria, in quella che, a seguito delle dichiarazioni di Lula sulla moneta unica dei Brics, è stata definita come la dedollarizzazione del mondo. Una paura che però, secondo Noci, non ha alcun fondamento:

Che possa capitare a qualcuno di questi paesi quello che è capitato alla Russia, cioè un blocco immediato di riserve monetarie detenute in dollari, è utopistico.

L’entrata di paesi arabi come Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi potrebbe rendere più facile la fusione finanziaria, visto il collante culturale. Ma per Noci, l’unione di questi stati è definita da motivi prettamente economici.

Pensiamo a coloro che sono entrati. Un Iran fortemente antiamericano, e Arabia Saudita, Egitto, Etiopia e Argentina che hanno goduto negli anni di importanti supporti e protezione da parte dell’America. Abbiamo quindi un coacervo di interessi politici significativamente diversi. L’elemento che potrebbe cementare nel tempo questa architettura, soprattutto economica, è che questo tipo di paesi possano progressivamente rappresentare e finanziare lo sviluppo di tutti i paesi arretrati.

Il ruolo dell’Europa: cosa deve fare adesso

Quello che sembra il grande assente del momento è l’Europa, che ancora non ha fatto nulla per contrapporsi a questo allargamento. Il periodo non è affatto semplice: la crisi in Germania che, per anni, ha trainato l’economia europea, sta mettendo in crisi il sistema dell’intero continente.
Il confronto tra Stati Uniti e Cina ha dato all’Europa una chance di rilancio straordinaria, cioè diventare un soggetto mediatore tra due posizioni differenti.

Ma un’Europa che non ha un esercito, con una Germania in profonda crisi e che entra in campagna elettorale è poco più che in balia degli Stati Uniti, non ha né capacità né energia politica. Questi movimenti a livello politico ed economico portano l’Europa ad un bivio: diventare un soggetto politico adulto e quindi andare oltre l’unione monetaria e diventare quindi una federazione di stati, oppure ho la sensazione che con i meccanismi attuali l’Europa possa rapidamente andare incontro ad una crisi che può anche arrivare ad una frantumazione dell’attuale Unione Europea.

Per Noci, la complessità del mondo attuale rende insostenibile la governance e la meccanica politica dell’Unione Europea di oggi.

Germania e Cina, generatori di squilibri profondi

Nell’intervista si è parlato anche della situazione immobiliare critica in Cina e quella economica in Germania.

Germania e Cina sono state dei generatori di squilibri molto profondi. La Cina è cresciuta molto economicamente avendo una debole domanda interna compensandola con un surplus commerciale, quindi molto export, con investimenti significativi sul fronte delle infrastrutture, soprattutto immobiliare. Con la riformazione del settore immobiliare, le famiglie hanno cessato di comprare case. Anche la Germania ha una debole domanda interna, che ha permesso però di ottenere risultati molto rilevanti sul fronte dell’export.

Per la Germania, però, la transizione ambientale, che ha molto penalizzato il comparto dell’automotive della Baviera come Volkswagen, e l’incremento dei costi dell’energia a causa della guerra in Ucraina hanno depresso la capacità d’investimento. Portando alla situazione che vive adesso il paese tedesco.