BERLINO (WSI) – Per uno Stato in emergenza a rischio default, l’introduzione di una tassa patrimoniale è il male minore. Insomma potrebbe essere una soluzione necessaria. È quanto ha detto il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, con un’allusione indiretta al dibattito italiano. In una lunga intervista uscita ieri sulla Frankfurter Allgemeine, Weidmann rilancia le critiche alla linea scelta da Mario Draghi alla guida della Banca centrale europea (Bce), affermando con forza i suoi dubbi sulle Outright monetary transactions, gli acquisti in quantità illimitata di titoli sovrani di Paesi dell’eurozona in difficoltà. Così la Bce, a suo giudizio, rischia di diventare ostaggio dei poteri politici.
L’intervista di Weidmann è tanto più importante in quanto è uscita proprio in contemporanea con il vertice intergovernativo tedesco-francese a Parigi, e appare quindi un monito alla cancelliera Angela Merkel e al presidente François Hollande. Nel summit, Francia e Germania hanno annunciato che intendono raggiungere a maggio (quindi nello stesso periodo delle elezioni europee) un accordo sulla tassazione finanziaria. Quanto a Weidmann, le sue dichiarazioni alla Faz, pur non menzionando i Paesi, sembrano un riferimento chiaro al dibattito italiano. “In una situazione d’emergenza, per uno Stato nazionale che rischi il fallimento, una tassa patrimoniale può essere il male minore, e prima di chiedere aiuto ad altri paesi e alla Bce il contributo una tantum dei contribuenti non dovrebbe essere escluso”, egli afferma.
I suoi giudizi sulla Bce intanto rilanciano lo scontro al vertice dell’Eurotower, poco dopo che la Corte costituzionale tedesca ha espresso riserve sulle Omt chiedendo un responso della Corte europea di giustizia ma riservandosi di emettere poi sue proprie sentenze restrittive. “I miei dubbi dal punto di vista economico sulle Omt persistono”, egli afferma, e continua, riferendosi alla scelta della Consulta tedesca: “É chiaro che il procedimento non è ancora chiuso e che la sentenza deve ancora arrivare; un programma del genere può comportare che la Banca centrale diventi prigioniera della politica”.
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In tal caso, egli ammonisce, “diverrebbe difficile per l’eurosistema tutelare la stabilità dei prezzi, e queste per me sono ragioni sufficienti per rifiutare il programma”. E ancora: “L’indipendenza dalle banche centrali è un privilegio da cui però nasce anche un obbligo. Quanto più ci si avvicina ai confini del mandato della politica monetaria, tanto più si pone una questione di indipendenza, e tanto più diventa difficile rispondere alla domanda di stabilità. Fondamentalmente, abbiamo un mandato ben diverso da quello della Federal Reserve o della Bank of England”.
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