Sin dal principio dello scontro tra cristianesimo e islam, l’impero del Papa ha fatto uso delle torture contro i nemici infedeli senza menare scandalo alcuno. Forse questo è uno di quei rari casi in cui la storia può insegnare qualcosa.
Le fonti canonistiche sono una miniera interessantissima per avere la conferma che l’elaborazione giuridica e politica della Chiesa in epoca medievale ha spesso dovuto fare i conti con problemi etici che si sono ripresentati con puntualità nelle epoche successive, compresa quella odierna contrassegnata dall’egemonia statunitense.
Chi crede che la guerra preventiva sia un’invenzione concettuale dell’attuale amministrazione Usa, vada a rileggersi le fonti scritte lasciateci da Sinibaldo de’ Fieschi, diventato papa col nome di Innocenzo IV, che chiedeva di muovere gli eserciti contro il nemico infedele musulmano prima che questi muovesse le proprie truppe contro la cristianità. Di un altro pontefice di nome Innocenzo è importante studiare gli scritti. Si tratta di Innocenzo III, papa teocrate per antonomasia e forse proprio per questo dalla Chiesa postconciliare non considerato “magno”, sebbene «raramente un papa trovò fra i suoi contemporanei una valutazione così positiva e unanime» (H. Wolter).
Innocenzo III alla fine del XII secolo e all’inizio del secolo successivo è il papa che affronta di petto le questioni dei prigionieri di guerra e delle tortura da infliggere loro. Prima di lui il diritto cristiano non dedica attenzione al problema del bottino saraceno, prevedendo in modo esplicito solo il caso di bottino preso agli eretici e accontentandosi di regolare solo per via analoga quello sottratto agli infedeli musulmani. Si esclude, tuttavia, la conversione forzata del prigioniero musulmano, la violenza sessuale sulle donne e l’uccisione a sangue freddo dei prigionieri, siano essi bambini o adulti.
Ma il diritto è una cosa, la pratica di guerra è tutt’altro. Nella battaglia di Harim, presso Antiochia, i prigionieri musulmani furono dai cristiani portati davanti alla porta della città e decapitati perché ciò costituisse un deterrente per coloro che erano rimasti ancora entro le mura della città. I cristiani assoggettarono nel 1098 le città di Tall-Mannar, al-Bara, Ma’arrat uccidendo, senza risparmiare nessuno, uomini e donne. Conquistata Gerusalemme, i capi della crociata si mostrano d’accordo nel giustiziare tutti i prigionieri musulmani per la paura che potessero, se liberati, riprendersi Gerusalemme.
Nessuna voce si alzò per condannare quegli eccidi. Nessuna, tranne quella di un vescovo: Sicardo. Vox clamans in deserto: a Riccardo, re d’Inghilterra, le richieste di Sicardo non faranno né caldo né freddo, e il 20 agosto 1191 le sue truppe faranno strage dei nemici musulmani.
La versione musulmana riguardo al trattamento dei prigionieri islamici mette in evidenza il maltrattamento ed esorta i fedeli, per abolire uno stato di cose insopportabile, al jihad.
Quando le circostanze indussero i cristiani nel settembre 1187, durante l’assedio di Gerusalemme, a chiedere la resa, il saladino li minacciò: «Io vi tratterò come i cristiani hanno trattato i musulmani quando presero la città santa, cioè passerò a fil di spada gli uomini e ridurrò il resto in schiavitù; insomma renderò male per male». Innocenzo III induce i prìncipi cristiani a una pace forzata fra loro e nel contempo a estinguere ogni alleanza con i musulmani. In più impone ai commercianti cristiani l’embargo economico ai danni degli islamici. Tutto ciò rientra nella strategia papale di liberare i luoghi santi e di esportarvi il cristianesimo.
La finezza intellettuale del Capo di Santa Romana Chiesa si palesa nella distinzione tra “guerra” e “bellum”: il primo termine riguarda lo scontro simmetrico tra prìncipi cristiani, il secondo la lotta asimmetrica contro gli infedeli. Papa Innocenzo si mostrerà preoccupato della sorte dei cristiani caduti prigionieri in mano ai musulmani. Le trattative, condotte dagli stessi militari, quasi mai sortiscono effetti positivi presso i nemici islamici. A Roma sono consapevoli della necessità che le trattative siano compiute da chi si è mantenuto estraneo ai combattimenti.
Giovanni De Matha fonda l’ordine della Santissima Trinità anche per questo scopo. Il gruppo dei Trinitari liberatori è un fenomeno nuovo per la cristianità di quel tempo. Innocenzo III li presenterà alla controparte musulmana e, pur rappresentando la cristianità, essi non vengono percepiti come parte in causa delle guerre intraprese dalla Chiesa di Roma contro l’islam. L’Ordine dei Trinitari agirà oltre i limiti di giurisdizione e di competenza territoriale, riproponendo ai musulmani il valore nel Credo teologico trinitario, totalmente disarmati e costituzionalmente dichiarati inabili alla guerra. I Trinitari verranno percepiti dai musulmani come cristiani non-nemici e riusciranno in tal modo a sottrarre molti prigionieri dallo stato di cattività.
Quando Giovanni Paolo II (che qualcuno già definisce “magno”) incontrerà in Vaticano il prossimo 4 giugno George Bush junior, capo del più potente impero militare ed economico dell’epoca contemporanea, ricorderà al suo ospite l’importanza di rimettere in gioco in Iraq al più presto un interlocutore percepito se non neutrale almeno estraneo al conflitto.
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