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(WSI) –
Un inatteso e rapido aumento delle tasse pagate dalle società e dai ricchi fa levitare negli Stati Uniti il gettito fiscale. L’incremento ammonta a 250 miliardi di dollari e ridurrebbe il disavanzo statale a 300 miliardi, 100 meno del previsto; malgrado guerre e uragani. E subito Bush ha commentato: «Il tax relief ha aiutato a liberare lo spirito d’impresa dell’America e ha mantenuto la nostra economia nell’invidia del mondo».
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Si potrebbe eccepire che, come notava il New York Times, il debito seguita a crescere e le entrate fiscali sono al di sotto di quelle del 2000. Tuttavia la crescita cancella molta parte di queste eccezioni: gli Stati Uniti fanno ancora invidia al mondo e i tagli alle tasse dei repubblicani hanno funzionato e come. E però sulla stampa italiana questa notizia si è minimizzata. Con un silenzio imperdonabile, considerando che il governo Prodi invece aumentava intanto le tasse. Certo è strano quanto avviene: le manovre finanziarie si distillano ormai in Italia per millesimi, in statistica indistinguibili sovente dagli errori di misurazione.
E invece il credito fatto alla sinistra al governo, ha perso ogni misura. Anche perché le entrate fiscali sono aumentate in questi mesi pure in Italia, appunto dopo i ribassi delle tasse dei berlusconiani. Eppure lo si è ancora trascurato, e mentre il ministro Visco tornava con le tasse a vampireggiare e a complicare con sovietica burocrazia la vita di tutti. Non solo: si è persa la testa elogiando il decreto Bersani.
Ci si è sperticati in lode di liberalizzazioni parzialissime, di parte e sovente mal pensate, come mostra la marcia indietro coi taxi. E, lodando un decreto poco liberale nel suo farsi e che esclude le rendite del centrosinistra, prelievi sindacali, municipalizzate. Non solo ci si è distratti davanti alla ridicolezza della manovra per il 2006, ancora più infinitesima del buco che si è riuscito a trovare nei conti del precedente governo.
E nulla si è detto neppure dell’effetto depressivo che deriverà dalle nuove tasse e da quelle che si imporranno. Tanto meno infine nell’euforia delle lodi a Bersani si sono fatti i conti, e si è verificato che di privatizzazioni c’è rimasto ben poco in un Dpef, che pure è stato detto con solennità di legislatura. I comunisti al governo e le clientele degli Enti Locali e delle Municipalizzate la hanno avuto vinta. A pagina 145 del documento infatti il delicato argomento viene lasciato nel vago, sospeso: non se ne da «esplicita quantificazione», e quindi si chiosa: «occorre prima procedere ad una valutazione delle opzioni strategiche relative alla dismissione del patrimonio residuo dello stato». Ma se la Patrimonio dello Stato ha già censito l’enormità di immobili dei comuni e le municipalizzate, e i crediti e persino le varie concessioni. E se si è già appurato che il debito potrebbe in un settennio ridursi anche del 30%, del Pil, privatizzando, perché nessun calcolo a riguardo si è inserito in un documento di legislatura?
Il fatto è che convincere comunisti e sinistri democratici al governo a far evolvere il mestiere dei tassisti in uno d’affitto agli extracomunitari magari pure cooperativizzati, è facile. Impensabile è invece convincerli a discutere se sia migliore la proposta Guarino di superfondo o le altre. Per almeno la metà di questo governo l’argomento è comunque aberrante e le pochissime parole elusive del Dpef sono sempre troppe. Si tratta del resto di un documento reticente. In fondo tutto scritto in quattro paginette d’introduzione.
Il seguito è il programma dell’Ulivo, dichiarazioni politichesi di una parte, non di un governo, e si può trascurarlo. A pagina 3 invece si verifica che da qui a tre anni ovvero nel 2009 il debito viene assunto ancora al 105,1% del Pil, il che significa solo 2,6 punti in meno di dov’è adesso. Un atto di grave imprudenza, tenuto conto di quanto nei prossimi anni sia imprevedibile l’evolversi dei tassi, tra guerre e crisi energetiche. Oltre un lungo periodo di tre anni non ha senso andare. Comunque resta questa mania, che dipende dai comunisti al governo: la politica di bilancio affidata tutta ad un avanzo primario dubitabile. E tra l’altro con sacrifici ben più intensi di quelli che invece una riduzione del debito avrebbe provocato con le dismissioni. Insomma privatizzazioni pochine, inflazione sottostimata, chiacchiere per tutti. Eppure il presidente della Confindustria aveva tanto biasimato nella sua relazione le rendite delle municipalizzate. Ma nell’euforia governativa chi se ne ricorda?
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