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CALDEROLI, PERFETTO PER IL SEQUEL DI “AMICI MIEI”

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(WSI) – La notizia non è che il ministro Roberto Calderoli sia salito al Quirinale. E’ che l’abbiano fatto entrare. Il capo dello Stato ha addirittura ascoltato “la sua esposizione degli orientamenti generali del governo in materia di riforme” e ha ricevuto dalle sue mani “una prima bozza di lavoro”. Berlusconi è caduto dalle nuvole e ha derubricato la cosa come una “iniziativa personale” del rubicondo ministro. In realtà si trattava di uno dei celebri scherzi di Calderoli, per gli amici “Pota” (da non confondere con Cota e con la Trota). Lo stesso che chiese l’uscita dell’Italia dall’euro e iniziò a battere moneta padana in quel di Pontida, coniando il “calderòlo”. Lo stesso che sposò la sua prima moglie con rito celtico, alzando il calice di sidro in onore di Odino e Taranis. Lo stesso che marciò su Verona alla testa di un corteo contro il procuratore Papalia, “il più terrone che ci sia”, con tanto di bara.

Da anni il noto odontoiatra bergamasco fa di tutto per denunciare la sua vera natura, ma viene inopinatamente scambiato per un padre costituente. In realtà è un simpatico buontempone da bar che non sfigurerebbe nel remake di “Amici Miei” (al posto del celebre Sassaroli, il Calderoli). Uno che, per tirar tardi la sera con gli amici, sarebbe disposto a inventarsi di tutto. Anche un vertice estivo in una baita del Cadore per riscrivere la Costituzione. Quando lo disse alla moglie (“Cara, esco un attimo a fare le riforme istituzionali”), la signora lo fece pedinare da uno specialista, ma alla fine scoprì che era tutto vero. Nell’allegra brigata il consorte aveva la funzione di portare i grappini.

Il fatto è che lo prendono sempre sul serio anche contro la sua volontà. Nel 2004, quando lo fecero ministro delle Riforme istituzionali, dichiarò costernato al Corriere: “Su di me non avrei scommesso una lira”. Non ci credeva nemmeno lui: di qui l’espressione perennemente esterrefatta, con occhio sgranato. Una sorta di parèsi nell’atto di domandare: “Io ministro? Ma siete sicuri?”. Da allora le provò tutte per convincere i colleghi che avevano sbagliato persona.

Definì Igor Marini “meglio di Pico della Mirandola”. Chiamò gl’immigrati “bingo bongo” e li invitò a “tornare nella giungla a parlare con le scimmie”. Propose, per le riforme, il “modello australiano”. Spiegò che “i culattoni meritano le fiamme dell’inferno”. Salutò l’elezione di Ratzinger con l’immortale “più che Benedetto XVI avrei preferito Crautus I” invocando “una Chiesa padana”. Lanciò l’idea di “castrare i pedofili con un colpo di cesoia”. Niente da fare, nessuno pensò di cacciarlo: a ogni pirlata seguiva ampio e articolato dibattito. A quel punto, à la guerre comme à la guerre, il burlone sfoderò l’arma segreta: una maglietta anti-Maometto al Tg1. Per quattro giorni non accadde nulla, poi le riprese fecero il giro del mondo arabo: tumulti, proteste, morti e feriti al consolato di Bengasi. A quel punto persino Berlusconi dovette privarsi del più moderato dei suoi ministri.

Perché fosse definitivamente chiaro che lui è lì per sbaglio, annunciò che la sua riforma elettorale era “una porcata”. Fu subito promosso ministro della Semplificazione legislativa: lo paghiamo perché non gli vengano più in mente nuove leggi e ne cancelli qualcuna, possibilmente sua. Lui, sempre per mettere gli altri sull’avviso, ha estratto il lanciafiamme bruciando una montagna di carte asserendo che erano “375 mila leggi inutili”: se fosse vero, secondo calcoli di Gian Antonio Stella, il Parlamento italiano avrebbe dovuto lavorare “h 24” quattro giorni a settimana, compresi gli anni di guerra, dal 1861 a oggi, varando una media di 7,8 leggi inutili al giorno, più quelle utili. “Almeno ora – dev’essersi detto Calderoli – lo capiranno chi sono!”. Niente. Anzi ora ci casca pure il centrosinistra. Enrico Letta elogia il “metodo Calderoli per le riforme”. E Napolitano lo riceve al Quirinale per deliberare la sua “bozza di lavoro”. Pare che, per la forza dell’abitudine, abbia tentato addirittura di firmargliela lì, su due piedi. Al che Pota ha dovuto confessare: “Lasci stare, presidente: è la lista della spesa”.

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