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Maggioranza battuta per due volte nell’Aula della Camera sull’articolo 4 della ratifica delle modifiche al Trattato dell’Unione europea che assegna all’Italia un seggio supplementare del Parlamento europeo. Dopo che, a scrutinio segreto, era stato respinto un suo emendamento all’articolo 4, la maggioranza aveva dato indicazione per votare contro l’articolo nel suo complesso “evitando un vulnus”, come aveva spiegato Andrea Orsini (Pdl). Ma al momento del voto, l’articolo (anche in questo caso a scrutinio segreto) è passato con 292 sì, 250 no e un astenuto. Fli ha votato con Udc, Pd e Idv.
L’emendamento tendeva a ripartire nuovamente i voti, inizialmente previsti per 72 seggi, per 73, quanti sono i seggi attualmente assegnati all’Italia nell’Emiciclo di Strasburgo. In questo modo, il seggio in più sarebbe andato al Pdl e non all’Udc come previsto in seguito all’approvazione in commissione, la scorsa settimana, di un emendamento dell’opposizione. Per battere la maggioranza a scrutinio segreto è stato determinante il voto dei deputati di Fli, allineato con quelli di Pd, Idv e Udc.
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«Berlusconi non riesce a governare e siamo ormai nel pantano»: lo ha detto il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, che intervenendo stamattina alla trasmissione “Radio anch’io”, ha invitato il premier a dimettersi subito. Bersani ha detto che il Pd ha presentato la mozione di sfiducia proprio per fare chiarezza tra chi appoggia il governo e chi no. «Il 14 – ha proseguito – potrà avere un voto in più, anche se non credo che ci arriverà, ma il problema della governabilità non è risolto. Questo governo ha perso la presa dai problemi del Paese. Questi tatticismi di questi giorni sono disdicevoli, perché distaccano la politica dai cittadini».
«Noi non abbiamo mica paura di votare. Se andiamo a votare vinciamo» ha detto il leader del Pd, ribadendo la sua idea di un governo di transizione, che modifichi l’attuale legge elettorale e affronti «un paio tra le emergenze del Paese». In particolare, il segretario del Pd ha indicato nel fisco e nelle misure per favorire il lavoro dei giovani precari i campi in cui intervenire. «Di uno straccio di riforma fiscale – ha sostenuto – abbiamo bisogno» per «spostare il carico dal lavoro e dall’impresa all’evasione e alla rendita». Per quanto riguarda invece il lavoro, Bersani ha sottolineato «che un’ora di lavoro precario non può costare meno di un’ora di lavoro stabile, altrimenti diventeremo tutti precari».
«Per la transizione ci rivolgiamo anche con i finiani e l’Udc». Bersani dice che per il Pd gli interlocutori per sostenere il governo di transizione non sono gli stessi con cui poi dialogare per dar vita a una coalizione alternativa al centro destra da proporre agli elettori: «Vedo una fase di transizione non molto lunga, e per questa ci rivolgiamo a tutte le forze presenti in Parlamento, compresi Fli e Udc. Se invece parliamo dell’alternativa allora ragioniamo con le forze di centro sinistra con una vocazione di governo sia quelle in Parlamento sia quelle fuori, in grado di interloquire con le forze di centro».
«Casini? Siamo alle tattiche». «Siamo alle tattiche, al gioco del cerino, non credo che le tattiche portino lontano» ha detto Bersani parlando dell’ultima proposta di Pier Ferdinando Casini. «Anche per questo noi abbiamo presentato una mozione di sfiducia, perché vogliamo determinare un momento di chiarezza in modo che si finisca con tatticismi».
Bocchino: non ci sono le condizioni per votare la fiducia. «E’ evidente che non ci sono le condizioni per cui noi possiamo votare in questo momento la fiducia al governo Berlusconi – ha detto oggi Italo Bocchino (Fli) – Alla fine sono convinto che Berlusconi sceglierà la via più saggia, che è quella delle dimissioni, per evitare di essere sfiduciato. Non c’è dubbio che il passaggio parlamentare non può non essere legato a un elemento di discontinuità. Siamo in attesa di una risposta da Silvio Berlusconi. Ammesso che venga a fare shopping in Parlamento, poi che fa? Se Berlusconi viene il 13 e dice che c’è una situazione di stagnazione, dice “mi rendo conto che bisogna fare delle riforme istituzionali, la riforma della legge elettorale, la riforma del Fisco, un grande provvedimento economico e sociale”, troverà una maggioranza più ampia. Questo chiediamo noi. Non chiediamo posti: li abbiamo restituiti».
Fini: serve un po’ di restyling istituzionale. «Occorre fare un po’ di restyling costituzionale, mettere mano ad alcuni articoli – dice il presidente della Camera, Gianfranco Fini – Non dico quelli di cui si parla di solito, ma parlo ad esempio dell’articolo 117 della Costituzione, quello che stabilisce le competenze regionali. La politica deve tornare ad essere strategia, programmazione, perché se è solo tattica non si va lontano». Fini porta ad esempio i rapporti tra le regioni e lo Stato relativi alla programmazione turistica. «Il ministero del Turismo – dice – non lo considero una bizzarria, ma, Costituzione alla mano, vanno definite le competenze delle Regioni. C’è un eccesso di tattica e un difetto di strategia politica in Italia, in particolare, Comuni, Province e dovrebbero confrontarsi per dire quali sono le nostre priorità, anziché rinfacciarsi le colpe di quanto non è stato realizzato».
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Casini fuga i dubbi sulal collocazione dell’Udc in vista del 14 dicembre. Ma intanto scoppia un altro caso nel centrodestra. E stavolta riguarda il simbolo del Pdl. Italo Bocchino apre il fronte: “Dicono che Berlusconi stia preparando un nuovo partito per rinnovarsi in vista del voto. Comprendiamo la sua esigenza, anche perché il nome e il simbolo del Pdl sono in comproprietà con Fini e non potrà utilizzarli”. Non solo. Il capogruppo di Futuro e Libertà lancia un monito anche riguardo all’altro nome circolato in questi giorni: “Dicono anche che nella conferenza stampa tenuta due giorni fa a Lisbona Berlusconi si sia fatto sfuggire che vuole scendere in campo definendosi ‘il vero centrodestra’. Per evitargli problemi giudiziari, che purtroppo non gli mancano, gli comunichiamo che dal 17 maggio scorso ‘il vero centrodestra’ è stato registrato da noi all’ufficio marchi e brevetti di Roma”.
Sono frasi che riaccendono lo scontro mai sopito tra gli ex compagni di partito. E’ infatti immediata la replica di Sandro Bondi, ministro e coordinatore del Pdl: “‘Provocazioni da discussioni condominiali”. Mentre il sindaco di Roma Gianni Alemanno commenta: “L’utilizzo dei simboli di partito ben difficilmente può essere ‘chiuso’ semplicemente dal copyright”.
Il contratto. E in risposta alla nota del presidente dei deputati del Pdl, Bocchino dice: “C’è un contratto che Cicchitto non conosce perché non c’era. Il simbolo è di Berlusconi, ma ha firmato un contratto nel quale si impegna a condividere il simbolo. E’ un patrimonio comune -rimarca- e bisogna prenderne atto”. Nonostante per l’ufficio marchi dell’Unione europea il titolare del simbolo sia Berlusconi: “Ma dopo ne ha ceduto l’utilizzo con un contratto notarile a firma congiunta sua e di Fini”. Quindi? “Berlusconi è il proprieterio del simbolo del Pdl ma fino al 31 dicembre 2014 non lo può usare senza il consenso di Fini”.
E sul sito dell’associazione Generazione Italia 1 è stato pubblicato, nel pomeriggio, il contratto che “vincola l’utilizzo del simbolo del Popolo della libertà alla firma congiunta di Berlusconi e Fini. L’articolo 6 del contratto prevede che “in caso di scioglimento” del’associazione Popolo della libertà “il simbolo non potrà essere oggetto di uso da parte degli odierni associati, o di alcuno di essi, se non con il comune espresso accordo scritto di tutti, e compete altresì a ciascuno degli odierni associati la capacità di agire individualmente nei confronti di eventuali terzi, con ogni forma e in ogni sede, anche in giudizio, sia in via ordinaria, sia in via cautelare o d’urgenza, per la tutela del simbolo in ogni sua parte”. La durata dell’associazione, prevede l’articolo 4, “salvo che la stessa non venga prima della scadenza stabilita a tempo indeterminato, per unanime decisione degli associati, è fissata al 31 luglio 2014”
Decideranno i magistrati. In serata, ai microfoni di Repubblica tv 2, Bocchino ha ribadito le posizioni dei finiani sull’utilizzo del simbolo del Pdl: “Andremo davanti ai magistrati che saranno chiamati a decidere”. “Berlusconi sa bene che non può usare nome e simbolo del Pdl. È patrimonio comune” suo e di Fini, insiste.
Sindaco di Terzigno: “Il simbolo l’ho creato io”. Sulla questione del simbolo a sorpresa interviene il sindaco di Terzigno Domenico Auricchio: “Il simbolo del Pdl l’ho creato io. Mi sono presentato con questa lista alle elezioni comunali del maggio 2007 e sono diventato sindaco per la prima volta. Poi, con una scrittura privata, il 24 agosto successivo, l’ho ceduto a Berlusconi che è l’unico titolato ad utilizzarlo”.
Il capogruppo di Fli sposta l’attenzione sul futuro del governo. Se Berlusconi ama l’Italia deve prendere atto della situazione e aprire una nuova stagione, così come gli ha chiesto Fini, ma sappiamo purtroppo che questo amore per la Nazione in lui è soffocato dall’odio verso chi si permette di contraddirlo” dice il capogruppo di Fli a Montecitorio, in vista del passaggio parlamentare del 14 dicembre.
Casini: “Voteremo sfiducia”. “Siamo un partito di opposizione e non votiamo certo la fiducia il 14 dicembre: voteremo per la sfiducia al governo Berlusconi”. Così al Tg de La7 il leader dell Udc,Pierferdinando Casini.
Napolitano: “Politica cerchi clima di serenità”. Nel frattempo il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano torna a chiedere che la politica si sforzi di trovare “uno spirito di condivisione e senso di responsabilita” e un clima “di serietà e razionalità, senza concitazioni fuorivianti”. “Pochi giorni fa ho valorizzato la dimostrazione di senso di responsabilità dato dalle forze politiche nell’accordare la precedenza alla legge di stabilità – continua il capo dello Stato – il senso di responsabilità non significa rimozione della dialettica e del confronto, ma riconoscimento di un interesse generale che può imporre talune priorità all’agenda politica e parlamentare”. Al tempo stesso “la condivisione significa capacità di individuare i problemi e le sfide che sono e saranno di fronte al Paese nei prossimi mesi e nei prossimi anni. Da ciò deriva un atteggiamento più utilmente propositivo e una convergenza che mi auguro possa prendere piede. Poi ognuno prenderà le sue responsabilità di fronte al Parlamento e all’opinione pubblica”.
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– Ministro Ignazio La Russa, l’altro ieri, in conferenza stampa, lei ha minimizzato il caso Carfagna e questo sembrava aver fatto precipitare la situazione.
«Nessuno ha minimizzato».
E quel «de minimis»?
«È stato male interpretato. L’ho detto anche a lei».
Le ha telefonato?
«Sì, dopo aver letto i giornali. Le ho spiegato che mi riferivo al fatto che mentre Berlusconi era a Lisbona, a trattare con Obama e a ricevere i complimenti da Medvedev, insistere con le domande sulla Carfagna era sproporzionato».
Non è lei che ha parlato di «gossip»?
«Intendevo dire che nel luogo dove si parla del futuro del mondo era un modo da “gossip” di affrontare i problemi».
Berlusconi con il suo «signora Carfagna» non ha peggiorato le cose?
«Lui si aspettava di gestire il vertice Nato senza questo problema. Non si aspettava di ritrovarsi a dover affrontare la lite tra la Carfagna e la Mussolini».
La Carfagna lamenta di non essere stata ascoltata da voi coordinatori. È così?
«Non è vero. Casomai se c’è una cosa di cui mi pento è di non essermi occupato di quelle vicende. Ora voglio impegnarmi sulla Campania personalmente. Anche perché lì c’è un ex an, Edmondo Cirielli (il presidente della Provincia di Salerno, ndr)».
Alla Carfagna basterà?
«Non lo faccio perché le basti, ma perché ritengo sia giusto. Non dico che Denis Verdini abbia seguito queste vicende male. E del resto, anche se lei non si è ritenuta soddisfatta, l’ha ricevuta un sacco di volte».
E lei?
«Sono stato io a trovare una mediazione in Consiglio dei ministri sul termovalorizzatore di Salerno. Invece di affidare le competenze al sindaco De Luca del Pd, le abbiamo lasciate alla provincia di Cirielli sotto il coordinamento del governatore Caldoro. E ci siamo lasciati con Mara con baci e abbracci. Poi è successo quello che è successo con la Mussolini. E su questo la Carfagna ha ragione».
Al di là delle foto, quali pensa che siano i rapporti tra la Carfagna e il finiano Bocchino?
«Lui è un amico che l’ha aiutata molto all’inizio. Ma in maniera disinteressata e amichevole. Ne sono testimone. Non credo ci sia altro. A Bocchino si possono rimproverare molte cose, ma non questa».
Il problema politico che la Carfagna solleva è Nicola Cosentino.
«Obiettivamente il problema esiste. Quando Cosentino si dimise perché era stato indagato, non fece polemiche. C’era una sorta di accordo tacito che sarebbe uscito dal governo senza clamori, ma sarebbe rimasto coordinatore regionale del Pdl».
Dunque lei parte sconfitta?
«Lei è andata a sbattere su una cosa su cui Verdini non la poteva accontentare in quella fase».
E ora può cambiare qualcosa?
«Non per accontentare lei. Ma perché ci sono le elezioni in Campania. Tutto è aperto. Io le ho consigliato prudenza».
Pensa ne faccia tesoro?
«Questo non lo ha detto. Ma lei è tutto fuorché poco intelligente. Credo che non soffierà sul fuoco».
Ma come pensa che finirà?
«Non la vivo come una telenovela. Ma come una battaglia politica. Comprensibile ma non irrisolvibile. Quello che può danneggiare Mara è la troppa esposizione mediatica».
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(WSI) – Le annunciate dimissioni di Mara Carfagna scuotono il Pdl e non solo. Lo si intuisce dall’ultimo scontro tra il ministro e Alessandra Mussolini (un botta e risposta a distanza a colpi di «vajassa» e «appena ti vedo ti insulto»). E una conferma arriva dalle parole di Pier Ferdinando Casini, secondo il quale la querelle politica intorno al ministro delle Pari opportunità deve far «riflettere».
Il leader Udc è convinto che il caso Carfagna rappresenti la spia «di un problema più ampio e più preoccupante». «La Carfagna – ha detto Casini a margine dell’assemblea nazionale Udc a Fieramilanocity – tutto sommato è stata un buon ministro. Ha caratterizzato questa stagione berlusconiana e il fatto che dica o faccia dire che il partito è ridotto a un comitato d’affari e che in Campania non c’è agibilità politica è una cosa di grandissima rilevanza e una cosa su cui bisognerebbe riflettere, perché non è il problema della Carfagna, è un problema un pochino più ampio e più preoccupante».
Sullo sfondo delle dimissioni della Carfagna, che ha deciso di lasciare il partito, il governo e anche la Camera, ci sono infatti le accuse che il ministro rivolge soprattutto al Pdl campano, ridotto a suo dire a una «guerra tra bande».
«GOVERNO DILANIATO» – L’opposizione plaude alla scelta della Carfagna, specchio secondo l’Italia dei valori di un «governo dilaniato» . «L’Italia non può permettersi altri anni di paralisi dell’esecutivo. Per questo è meglio andare al voto. Il centrosinistra deve farsi trovare pronto e mettere in campo la propria proposta, forte e credibile» afferma in una nota il capogruppo dei dipietristi alla Camera Massimo Donadi.
«DIALETTICA DI GOVERNO» – Ministri ed esponenti del Pdl tendono dal canto loro a minimizzare. «Con tutto il rispetto e la stima per la collega, colloco la vicenda all’interno delle normali, anche se preoccupanti, dialettiche all’interno di un governo» spiega Renato Brunetta. «Berlusconi non è il dio greco che mangia i figli – assicura Gianfranco Rotondi -. Vedrete quindi che aiuterà ancora a crescere uno dei ministri più apprezzati del nostro governo». E intanto al ministro dimissionario tende la mano il sottosegretario alla presidenza Gianfranco Miccichè, fondatore di Fds: «A Mara Carfagna – dice in una intervista – offro di essere la numero uno di Forza del Sud in Campania e non solo in quella Regione». «Questa polemica rispecchia esattamente la situazione del Pdl in tutto il territorio nazionale – aggiunge -. Lo stesso disagio del ministro l’ho vissuto io al mio tempo e lo vivono in tanti. Quello che non funziona non è la Carfagna ma il Pdl».
SCAMBIO DI ACCUSE CON LA MUSSOLINI – Nel frattempo, il confronto tra la Carfagna e Alessandra Mussolini è ormai ai ferri corti. La seconda non ha gradito quel «vajassa» con cui il ministro dimissionario l’ha bollata. «È gravissimo che il ministro Carfagna rivolga a mezzo stampa gratuiti e volgari insulti a una donna parlamentare», ha dichiarato la Mussolini in una nota. «Per questo inqualificabile comportamento, in palese contrasto con le finalità che il ministero delle Pari opportunità persegue, dovrebbe immediatamente rassegnare le dimissioni», ha aggiunto, «le sue parole e il suo agire sono la conferma che non è in grado di ricoprire una così alta carica governativa».
La Mussolini ha annunciato che chiederà al presidente della Camera Gianfranco Fini di adottare ogni iniziativa «a tutela della onorabilità e della dignità dei deputati che lui rappresenta». Poi l’avvertimento: «La Carfagna sappia che alla prima occasione di incontro sarà mia cura replicare ai suoi insulti, guardandola dritta in quei suoi occhioni, che dopo le mie parole, ne sono certa, risulteranno ancora più sbarrati».
Nell’intervista al Mattino in cui parla delle sue prossime dimissioni, il ministro ha ricordato la foto che la Mussolini le ha scattato in aula alla Camera mentre parlava con Italo Bocchino. «Quello è stato un atto di cattivissimo gusto che non merita commenti ma che si addice alla persona che l’ha commesso», ha detto Carfagna, «a Napoli le chiamano vajasse…».
«Vajassa», «serva» o «domestica» nel significato dialettale, «prostituta» per i napoletani di fine ‘800 , «donna che vive nei bassi» per i partenopei di oggi. Quale che sia l’accezione che aveva in mente, il ministro non ha certo voluto fare un complimento alla collega, ancora per poco, di partito.
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(WSI) – Un partito “allo sbando”. A metà strada tra i “comitati d’affari” e le “bande di potere”. Questo è oggi il Pdl. Lo è a livello locale, dove comandano “pochi capi con metodi dittatoriali”. Lo è a livello nazionale, dove l’unico capo, Silvio Berlusconi, non sa più comandare. Su questo abisso, politico e morale, ha aperto una finestra Mara Carfagna. Con l’annuncio delle sue dimissioni, mostra agli italiani la nudità del potere e, di riflesso, la caducità del governo.
Nonostante gli attacchi dei nemici, nonostante le pressioni degli amici, il ministro delle Pari Opportunità va avanti per la sua strada: “Non posso cedere – dice – è una questione di dignità”.
Sono ore difficili, per la donna che più di ogni altra ha incarnato a suo tempo l’archetipo femminile del berlusconismo, e che più di ogni altra in questi due anni è riuscita ad affrancarsene. La sua censura contro il Popolo della Libertà non poteva essere più fragorosa. La sua rottura con Berlusconi non poteva essere più pericolosa. Ma la Carfagna non è affatto pentita. “La misura era colma. Ho fatto la mia scelta, e sono obbligata ad andare avanti. Quale sarebbe l’alternativa? Vivacchiare, facendo finta di niente? No, mi dispiace, non mi interessa…”.
Dunque, nessuna retromarcia, almeno per adesso. Nemmeno di fronte al ramoscello d’ulivo che ieri gli ha porto il “collega” La Russa, durante una lunga telefonata nella quale ha addirittura ammesso “l’errore di questi mesi, cioè aver lasciato tutte le leve del partito nelle mani di Verdini”. “È vero – chiarisce il ministro – Ignazio mi ha assicurato che tenterà tutte le strade per ricucire lo strappo. Ne prendo atto, e aspetto segnali concreti. Sono pronta a tornare sui miei passi, ma solo a condizione che si affrontino seriamente le questioni che ho posto”. Berlusconi che la liquida come “la signora Carfagna” non è un buon segnale. Ma lei non si sbilancia: “Il presidente non lo interpreto. È stato criptico, ma ha detto la cosa giusta: mi sono sempre comportata da signora, anche in questa vicenda”.
Sono due le “questioni” sul tappeto, così come la Carfagna le riassume, dopo averle spiegate e rispiegate da un anno e mezzo, “anche in modo accorato e a tutti i livelli”, e sia pure senza coinvolgere il presidente del Consiglio “se non in quest’ultimo mese”. La prima questione riguarda i rifiuti. “A Salerno c’è il rischio che il termovalorizzatore non si faccia, a causa dello scontro tra Comune e Provincia. Sarebbe un danno enorme per quell’area. Per questo all’ultimo Consiglio dei ministri ho proposto di affidare le procedure a un commissario, nella persona del presidente della Regione Caldoro”.
Ma si sono ribellati Cosentino e Cesaro, i veri ras del partito in Campania, che prosperano sul torbido business dei rifiuti. Di qui la battaglia della Carfagna “per la legalità”. Di qui la sua denuncia sulle “bande di potere che stanno distruggendo il partito”. “Su questo primo punto non scendo a compromessi. In Campania ci ho messo la faccia, con quei 58 mila voti presi alle regionali. Voglio essere a posto con la mia coscienza: se salta il termovalorizzatore, c’è il pericolo che anche Salerno, dopo Napoli, finisca sommersa dai rifiuti…”. Dunque, sui rifiuti la Carfagna non farà retromarce, in assenza di segnali inequivoci dal vertice del partito.
La seconda questione posta dal ministro chiama in causa la “natura” del Pdl. “Io non sto facendo una battaglia contro il partito, ma il fatto è che rischia di esploderci in mano. Io mi batto per un partito vero, autenticamente liberale e democratico, e non usato come uno strumento di potere a vantaggio di pochi capi locali che fanno il bello e il cattivo tempo. Perché questo è l’andazzo. A livello regionale e provinciale, il partito è governato con sistemi dittatoriali. Ed è chiaro che su questo c’è stata una sottovalutazione, se non un avallo, a livello nazionale…”.
La Carfagna parla di cose vissute in prima persona. Ai suoi racconta spesso di come, in questi mesi, non sia stata neanche invitata alle riunioni dei parlamentari campani. Di come, qualche volta, siano state addirittura “sostituite le date delle convocazioni via Internet”. Di come a Salerno sia stata costretta ad aprire una segreteria politica a sue spese, perché il partito non le ha messo a disposizione nulla. Verdini le ha chiesto: “Mara, cosa vuoi? Più uomini in giunta? Io te li do…”. Senza capire che il suo problema non è questo. “Io voglio prima di tutto rispetto. Voglio che le cose che dico siano ascoltate. E invece vengo delegittimata. Perché ci sono altri che “contano”. Perché sono donna, e vorrei vedere cosa sarebbe accaduto se le stesse questioni le avesse sollevate un uomo…”. Ma questo, oggi, è il Pdl. “A me non sta bene. La guerra per bande non porta da nessuna parte. È ora di “normalizzare” la vita del partito”.
Se il Cavaliere ascolterà, lei è anche pronta a rientrare nei ranghi. “Non voglio la rottura a tutti i costi. Sono disponibile a ricucire, purché però arrivino risposte concrete”. E queste risposte, ormai, le può e le deve pronunciare solo il premier, e nessun altro. “Vedremo. Io sono scesa in politica con Berlusconi, e sono diventata parlamentare e ministro grazie a lui. Per questo ho annunciato che voterò la fiducia il 14 dicembre. Ma a questo punto Berlusconi deve dare un segnale chiaro e forte. Sul governo lo sta già facendo. Ora tocca al partito, che ne ha altrettanto bisogno…”.
C’è chi pensa che il ministro abbia in testa un aut aut, da porre al Cavaliere: o io, o Cosentino. Lei non lo dice espressamente. È chiaro che il taglio netto di questo nodo gordiano in Campania risolverebbe tutti i problemi. Ma è altrettanto chiaro che il premier non può sottrarsi al potere di ricatto che questo “cacicco”, inquisito per camorra, esercita su di lui e sul suo partito. Dunque, tagliare il nodo non sarà facile. Ma proprio per questo la Carfagna non cede, almeno per adesso.
Certo è amareggiata sul piano personale: per gli attacchi che subisce per i suoi rapporti con Italo Bocchino (“l’amicizia viene prima della politica”, dice) e per le volgarità che patisce da gente come la Mussolini (“A lei non rispondo più, non vale la pena”, aggiunge). Ma è anche preoccupata sul piano politico: se continua così, “il Pdl si sfascia, perde consensi, in Campania rischia di perdere le prossime elezioni amministrative”. E sarebbe sbagliato anche illudersi che l’unico fronte di guerra sia solo la Campania. “Il malessere è ben più diffuso. Basta parlare con tanti nostri parlamentari, per rendersene conto”.
Ma a proposito della sua regione, il ministro delle Pari Opportunità ci tiene a chiarire un ultimo aspetto, che riguarda il suo prossimo futuro, la sua ipotizzata candidatura a sindaco di Napoli, il suo passaggio ipotetico nelle file di Fli o di Forza del Sud. “Non sono candidata a nulla, in questo momento. Non sto per trasmigrare da nessuna parte, meno che mai in Futuro e Libertà. Ho annunciato che mi dimetto da tutti gli incarichi proprio per questo. Io non tradisco nessuno. Ma a questo punto non voglio esser più tradita dal partito nel quale ho militato, e nel quale ho creduto”.
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Mara Carfagna, in un’intervista esclusiva a Il Mattino, conferma le dimissioni da ministro: “Non faro’ mancare la fiducia a Berlusconi, ma il 15 dicembre rassegnero’ le mie dimissioni dal partito. Lascero’ anche lo scranno di parlamentare, perche’ a differenza di altri sono disinteressata e non voglio dare adito a strumentalizzazioni. Mi dimettero’ ovviamente anche da ministro visto che il mio contributo pare sia ininfluente”. Il riferimento e’ alla gestione del partito in Campania su cui il ministro accusa: “E’ una guerra tra bande”.
Ultimo episodio l’emergenza rifiuti: “Nell’ultima seduta del Consiglio dei ministri ho fatto presente la mia preoccupazione sullo scontro istituzionale tra Comune e Provincia di Salerno che rischia di portare alla paralisi assoluta comprottendo la realizzazione dell’impianto. Non posso permettere che per una guerra di potere si faccia saltare un’operazione di vitale importanza per la Campania con la conseguenza che dopo Napoli anche Salerno possa essere sommersa dai rifiuti.
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“Il ministro delle Pari Opportunita’ Mara Carfagna, apprende l’ANSA, e’ sul punto di dimettersi dal governo e dal Pdl. La Carfagna starebbe valutando l’ipotesi di lasciare l’esecutivo ed il partito, all’indomani della votazione di fiducia al governo prevista per il 14 dicembre, a causa di insanabili contrasti con i vertici campani del partito e per ”l’incapacita”’ dei coordinatori nazionali del Pdl di affrontare i problemi interni al partito in Campania. A quanto si apprende, alla base della scelta anche ”gli attacchi volgari e maligni” di esponenti del partito come Giancarlo Lehner, Alessandra Mussolini e Mario Pepe.
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di Carmelo Lopapa – La Repubblica
(WSI) – La gestione di un affare da oltre 150 milioni di euro che rischia di passare di mano. I ras berlusconiani in Campania, Nicola Cosentino e Mario Landolfi (entrambi sotto inchiesta), che si precipitano a Palazzo Grazioli. Il presidente del Consiglio che cede al pressing, promette di rivedere, correggere, smussare il decreto legge varato solo poche ore prima dal governo. È a quel punto, solo allora, che il ministro Mara Carfagna – sponsor del commissariamento che sanciva l’affidamento alla Regione della realizzazione dei tre termovalorizzatori di Napoli e Salerno – decide di gettare la spugna. Si sente tradita, raggirata, abbandonata in questa che è una storia di appalti pubblici e di cordate politiche in guerra. Di impegni siglati e del rischio di infiltrazioni camorristiche nella terra in cui la monnezza, prima ancora che un’emergenza, è un business.
Berlusconi la chiama appena atterrato a Lisbona. Sono lontani i buoni rapporti di un tempo: “Devi spiegarmi cosa è successo – lei lo incalza – Sono mesi che quella banda mi attacca, non puoi lasciare l’intera gestione dell’emergenza nelle mani di Cosentino e dei suoi uomini”. Lui si impegna a trovare una soluzione. Ma stavolta sembra che non basti. Resta la delusione di fondo che il ministro confiderà poco dopo ai collaboratori: “Non voglio più stare vicino a certi affaristi. Starò col presidente in questo momento di bisogno. Ma dopo il 14 mi sentirò libera. Nel Pdl ormai comandano i Cosentino, i Verdini, i La Russa, dimenticano che ho avuto 58 mila voti sei mesi fa”. Parla fitto col finiano Bocchino, alla Camera, nelle ore in cui si consuma lo strappo. Gli avversari interni l’accusano di intelligence col nemico. Un transito a Fli e magari una candidatura shock a sindaco di Napoli in rotta col coordinatore pdl Cosentino, sono per ora solo ipotesi vaghe che la Carfagna smentisce.
Il fatto è che ancora una volta il gruppo di potere che nella sua regione fa capo all’ex sottosegretario, dimessosi dopo la richiesta di arresto per concorso in associazione camorristica, riesce a convincere, persuadere, condizionare il premier. Eppure, il decreto per lo smaltimento rifiuti approvato in Consiglio dei ministri stabiliva che il pallino nella costruzione dei costosissimi termovalorizzatori passasse dai due presidenti di Provincia Edmondo Cirielli e Luigi Cesaro (uomini di Cosentino) al governatore Stefano Caldoro (pdl ma suo avversario).
Già in Consiglio dei ministri La Russa aveva invitato la Carfagna a non incaponirsi “per ragioni personali”, a non insistere “per beghe locali” sul commissariamento. E invece la ministra ha insistito e l’ha spuntata. Poi la retromarcia del premier. “Avevo proposto questa soluzione per mettere a riparo l’operazione da affari sporchi – si sfogava lei ieri con alcuni deputati in Transatlantico – Ma questo è ormai il partito dei Verdini, dei Cosentino e dei La Russa”. Il clima ostile maturava da giorni. Gli attacchi personali si moltiplicavano. Le interviste di Sallusti e di Stracquadanio, la allusioni sui rapporti con Bocchino, le foto, gli insulti e i “vergogna” alla Camera. Il sospetto latente che una “macchina del fango” si stesse muovendo anche contro di lei.
Sta di fatto che subito dopo il Consiglio dei ministri, giovedì, i deputati che fanno capo a Cosentino, gli stessi presidenti delle Province di Salerno, Cirielli, e di Napoli, Cesaro (sotto inchiesta a Napoli), e poi Landolfi e Laboccetta e Castiello danno tutti segni di nervosismo. Disertano alcune votazioni in aula. Fanno sapere a Berlusconi di essere pronti a passare al gruppo misto se quel decreto non verrà modificato: facendo così saltare la Finanziaria e mettendo ulteriormente a rischio la fiducia del 14 dicembre. Cosentino piomba a Palazzo Grazioli, accompagnato da Landolfi. C’è anche Gianni Letta in stanza col premier. Subito dopo l’incontro, il coordinatore Pdl in Campania va a Montecitorio e dà notizia del “successo” ai suoi, riportata dalle agenzie di stampa: “Sono molto soddisfatto, Berlusconi mi ha dato garanzie sulle competenze e sulla corresponsabilità degli impianti tra Province e Regione. La quadra trovata permetterà di accelerare la costruzione degli impianti”.
L’affare può partire, insomma, e sarà soggetto alla sovrintendenza anche delle Province, dunque della potente corrente Cosentino. Ad oggi, in Campania c’è un solo termovalorizzatore, quello di Acerra, che funziona solo in parte, e che è già costato 25 milioni. Altri 75 milioni di euro sono stati investiti per la realizzazione di quello di Salerno. Altrettanti se ne prevedono per Napoli. Il terzo impianto non si sa ancora dove realizzarlo.
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Il premier Silvio Berlusconi pensa a un nuovo partito, «il “predellino-bis”», lo definisce il quotidiano di famiglia, il Giornale, che rivela le intenzioni del presidente del Consiglio. Hanno paura del voto, dice intanto il leader della Lega, Umberto Bossi che consiglia al premier di dimettersi anche se incasserà la fiducia. Intanto il ministro Mara Carfagna sembra avviato verso le dimissioni da governo e Pdl.
Carfagna verso le dimissioni. Il ministro delle Pari opportunità Mara Carfagna è sul punto di dimettersi dal governo e dal Pdl. La Carfagna starebbe valutando l’ipotesi di lasciare l’esecutivo e il partito, all’indomani della votazione di fiducia al governo prevista per il 14 dicembre, a causa di insanabili contrasti con i vertici campani del partito e per «l’incapacità» dei coordinatori nazionali del Pdl di affrontare i problemi interni al partito in Campania. A quanto si apprende, alla base della scelta anche «gli attacchi volgari e maligni» di esponenti del partito come Giancarlo Lehner, Alessandra Mussolini e Mario Pepe.
«Mara hai ragione. Su tutto. Io non voglio assolutamente che tu faccia passi indietro. Aspetta che io ritorni, cerca di capire che questo è un momento delicatissimo e complicato. Sistemiamo tutto». Silvio Berlusconi ce l’ha messa tutta, appena atterrato a Lisbona per il vertice Nato, per convincere Mara Carfagna a non fare passi precipitosi, a non dare corso all’intenzione di uscire dal governo e dal Pdl, subito dopo i voti sulla fiducia al governo del 14 dicembre. È stato a lungo al telefono il premier, con il ministro e con diverse altre persone, mentre un nubifragio si abbatteva sulla capitale portoghese e l’aereo della Repubblica Italiana, atterrato in perfetto orario rispetto allo slot, restava fermo sulla pista, lontano dalla scaletta con il tappeto rosso per la discesa.
Bagnasco: senza vita retta non c’è politica efficace. Non ci può essere una «politica efficace» senza un «vivere retto sia dei cittadini che dei loro rappresentanti». E se si smarrisce «la verità», «allo Stato non resta che affidarsi alle convinzioni che si rispecchiano nel consenso democratico». È uno dei passaggi centrali dell’intervento del presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, in occasione delle giornate di formazione promosse dall’intergruppo parlamentare della Camera e del Senato sul tema “Per vincere domani. Famiglia e lavoro al tempo della sussidiarieta”.
Bossi: «Berlusconi faccia come Fanfani si dimetta anche se avrà la fiducia». Meglio andare alle elezioni, qualunque sia l’esito del voto previsto per metà dicembre, ribadisce Bossi, che spiega: «una volta Fanfani ebbe la fiducia e poi si dimise. Io la penso così, mancano i numeri, tutte le volte devi andare a chiedere i numeri». Perché il premier non si convince a seguire questa strada? «Berlusconi – risponde il senatur – è combattivo sempre, anche quando il combattimento prevede eventualmente la ritirata, non è una parola nel suo lessico, attacca sempre». «Se Berlusconi è saggio, va al voto e ritorna: prenderebbe un sacco di voti in più», dice ancora Bossi.
Bossi: hanno paura del voto. «Penso di sì, ma non è l’unico, c’è anche la sinistra». Così il leader della Lega, Umberto Bossi, replica ai cronisti che gli chiedono se a suo avviso Gianfranco Fini tema il voto.
Il Governo avrà la fiducia sia alla Camera che al Senato il 14 dicembre? «Penso di sì», dice poi Bossi. E in caso questo non avvenisse, secondo Bossi, la via maestra è sempre quella del «voto». «Da parte nostra no». Così il leader della Lega risponde poi ai cronisti che gli chiedono se, a suo avviso, sia in atto una compravendita dei parlamentari. E da parte del Pdl? «Spero di no. Berlusconi non è capace di comprare la gente».
Bossi poi risponde facendo le corna alla domanda dei giornalisti sulla possibilità di un governo tecnico, quindi aggiunge che se Giorgio Napolitano lo facesse «provocherebbe una reazione del Paese troppo forte» e sottolinea: «Il presidente della Repubblica è saggio. La speranza di Fini è quella del governo tecnico, ma non avverrà, non è possibile».
La Lega starà con Berlusconi fino a quando non saranno fatte le riforme, continua il leader della Lega.
Fino a quando la Lega seguirà Berlusconi, visto che il premier finora non ha ascoltato il suggerimento di andare al voto? «Fino a quando non abbiamo fatto le riforme», risponde Bossi. Quindi il voto anticipato potrebbe tenersi a marzo o addirittura a gennaio? «Vediamo quando saranno fatte le riforme», è la replica del ministro.
«E Berlusconi prepara il ‘predellino-bis’: Silvio fa un altro partito», è il titolo del pezzo del Giornale di oggi dedicato al nuovo predellino del premier, con riferimento al discorso fatto dal Cavaliere in piazza San Babila a Milano dal predellino della sua Audi in cui annunciò la nascita del Pdl. Il quotidiano poi afferma: in vista delle elezioni il premier avrebbe già «incaricato una società di marketing di disegnare un nuovo logo e un nuovo nome per il sempre più probabile ex Pdl». La decisione di «rottamare» il Popolo della libertà (nome che per il premier avrebbe «perso appeal» e inoltre non sarebbe «immediato e d’impatto»), sarebbe stata dettata dalla necessità di «dare una svolta anche d’immagine al partito e di recuperare lo spirito del ’94 quando in pochi mesi scese in campo con Forza Italia e sbaragliò la gioiosa macchina da guerra delle sinistre guidate da Occhetto».
Quello che serve ora, per Berlusconi, è uno slogan nuovo di zecca che abbia una portata “rivoluzionaria” come fu con Forza Italia, «e non è del tutto escluso – scrive Francesco Cramer – che la formula Forza Italia venga in qualche modo riesumata». «Il cambio in corsa – si osserva – serve anche a escludere eventuali pretese dei finiani dopo l’uscita dal partito». Quindi «meglio tagliare la testa al toro e creare una nuova ‘cosà». E per questa “missione impossibile” sarebbero «già in azione Claudio Scajola e Daniela Santanchè».
I finiani: nessuna “marcia indietro”, semmai un appello a chi crede nel progetto di Futuro e libertà. «Io non faccio il Gran Premio, siamo al pit stop. Sono qui per parlare di altre cose», ha detto oggi il presidente della Camera Gianfranco Fini ha risposto a chi gli chiedeva dello “stop and go” del governo. Più chiaro invece il vicecapogruppo dei finiani alla Camera, Benedetto della Vedova, spiega così il senso delvideomessaggio di ieri di Gianfranco Fini, che aveva chiamato tutti al senso di responsabilità, premier in testa, e ad alcuni era parsa una sorta di “frenata”. Della Vedova precisa che si è scelto di rinviare di un mese «l’appuntamento della chiarezza», e quindi «anche noi ora vediamo che succede».
Dal Pdl il capogruppo Fabrizio Cicchitto chiede ai finiani di dire che cosa vogliono fare, decidendo con chi stare. Secondo Cicchitto, il Pdl si è ricompattato, e sono anche falliti tentativi di intesa fatti da sinistra per attrarre la Lega, che resta un’alleata. In ogni caso, se il governo dovesse cadere secondo Cicchitto la via naturale sarebbero le elezioni anticipate.