ROMA (WSI) – Schiaffo al premier Matteo Renzi dal Consiglio di Stato sul canone Rai in bolletta. Quella che è stata considerata dal governo una sorta di rivoluzione per smorzare i casi di evasione fiscale è stata praticamente bocciata dai magistrati. E pensare che la Rai con il decreto sul canone sperava di incassare 500 milioni di euro grazie all’azzeramento dell’evasione.
Vengono citate “criticità”, tra cui l’assenza di “un qualsiasi richiamo ad una definizione di cosa debba intendersi per apparecchio televisivo”, visto che sul mercato sono presenti diversi “device” che consentono la ricezione dei programmi.
A tal proposito, il decreto deve spiegare in modo più chiaro che il canone non deve essere versato se si hanno “smartphone o un tablet”, apparecchi capaci di intercettare il segnale televisivo. Insomma, grande assente è la “definizione di apparecchio tv”, così come non viene precisato che il canone si versa una sola volta, anche in presenza di altri televisori che possono ricevere i programmi in modo diretto “oppure attraverso il decoder”.
E’ necessario, stando a quanto scritto nel giudizio del Consiglio di Stato:
“Precisare, dunque, nel regolamento che il canone di abbonamento è dovuto solo a fronte del possesso di uno o più apparecchi televisivi in grado di ricevere il segnale digitale terrestre o satellitare direttamente o tramite decoder costituirebbe un elemento informativo particolarmente utile per i cittadini sia in relazione agli obblighi contributivi che i medesimi devono assolvere sia in riferimento all’autodichiarazione concernente il mancato possesso di apparecchi che gli stessi devono effettuare e alle conseguenze di carattere penale che possono derivare da una dichiarazione mendace, in base alle norme vigenti in materia.
I magistrati contestano anche la presenza di formule tecniche non facilmente comprensibili e un problema di privacy: i dati che si scambieranno gli “enti coinvolti (Anagrafe tributaria, Autorità per l’energia elettrica, Acquirente unico, Ministero dell’interno, Comuni e società private) non sono stati normati in modo da salvaguardare la riservatezza dei cittadini”.
E ancora, si legge:
“La Sezione (si intende la Sezione Consultiva per gli Atti Normativi del Consiglio di Stato), infine, rileva che nel regolamento in esame non sono previste forme adeguate di pubblicità, rispetto all’elevato grado di diffusione raggiunto dal mezzo televisivo. Ciò trova riscontro, in particolare, negli adempimenti previsti per la collettività degli utenti nell’ambito nel nuovo procedimento di riscossione del canone – come ad esempio la dichiarazione richiamata dall’art. 3 dello schema o la richiesta di rimborso di cui all’art. 6 – che necessiterebbero di una diffusione più ampia, al fine di agevolare la conoscenza di tali adempimenti da parte della cittadinanza e, conseguentemente, una più efficace applicazione delle norme de quibus: la Sezione, pertanto, invita l’Amministrazione a dare la massima diffusione, nelle forme ritenute più opportune, alle disposizioni del procedimento di riscossione del canone di abbonamento televisivo con particolare riferimento a quelle che implicano adempimenti a carico dell’utenza.
Insomma, il decreto “va riscritto”. La bocciatura viene seguita dalle dichiarazioni delle associazioni dei consumatori, che esultano.
Il Codacons afferma che “l’unica cosa certa in mezzo ai tanti dubbi e alla totale mancanza di informazioni per i cittadini, è che sul canone Rai in bolletta regna il caos più totale. Motivo per cui il governo farebbe bene a rinunciare del tutto al provvedimento”.
’Unione Nazionale Consumatori sottolinea che i giudici hanno “confermato pienamente i tanti dubbi espressi negli ultimi mesi sulla legittimità del canone Rai in bolletta la cui scadenza della prima rata va ora rinviata al mese di ottobre”.
Secondo Adusbef e Federconsumatori “è stata bocciata un’idea balzana partorita da un governo apprendista stregone che vuole continuare a stangare i cittadini per mancanza di un qualsiasi richiamo ad una definizione di cosa debba intendersi per apparecchio televisivo”.