La finanza responsabile è sempre più coinvolta in prima linea nella lotta contro il cambiamento climatico. Uno degli strumenti che nel 2020 stanno diventando mainstream in tutto il mondo sono i carbon credit.
Diffusi all’estero anche se privi fino a poco tempo fa di piattaforme di scambio autorevoli, ora sono diventati tema caldo anche in Italia. Il Green deal europeo è stato recepito dal documento “Rilancio Italia 2020-2022” che ha evidenziato il ruolo del Capitale naturale per il benessere della società e il rilancio economico delle imprese.
Tra le proposte per “aumentare e preservare le aree verdi, il territorio e gli ecosistemi nazionali” c’è la creazione del Registro nazionale dei crediti di carbonio generati da progetti forestali ed agricoli che dia coerenza alle iniziative già messe in atto, come il Codice forestale del carbonio (Cfc) che rappresenta le linea guida per lo sviluppo di un mercato volontario dei crediti di carbonio in Italia ed è un documento targato Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria).
Va però detto che in Italia la conoscenza su questo tema è ancora molto limitata.
Cosa sono i crediti di carbonio? Sono in sostanza le tonnellate di CO2 equivalente immagazzinata nella biomassa vegetale o nel suolo da attività di gestione attiva, come ad esempio imboschimento o riforestazione.
Queste tonnellate “tolte via” dall’aria vengono utilizzate nei conteggi complessivi degli impegni internazionali sottoscritti da Stati come il Governo italiano, ma anche da imprese nell’ambito del Protocollo di Kyoto per compensare le tonnellate emissioni inquinanti generate dai diversi settori produttivi. In sostanza per verificare di non superare un obiettivo di emissioni limite di CO2 nel pianeta si fa la differenza in tonnellate tra tutte le emissioni inquinanti prodotte e quelle assorbite dalla natura, anche per effetto di azioni virtuose dell’uomo come ad esempio progetti di riforestazione, di riqualificazione all’agricoltura sostenibile di terreni sfruttati intensamente o a ogm.
Queste ultime azioni virtuose, causando un positivo aumento della CO2 assorbita, e quindi un effetto negativo su quella totale nell’aria, generano una sorta di crediti di emissioni di carbonio che a loro volta possono anche essere quantificati e commercializzati in un mercato volontario da parte del titolare della gestione.
Questo può vendere il credito ad un beneficiario acquirente che a sua volta può compensare le proprie emissioni di CO2 o la propria impronta carbonica residua dopo aver realizzato un progetto di riduzione. E ora finalmente si muove qualcosa anche in Italia.
“Proporre il Codice forestale del carbonio come strumento per definire le Linee guida nazionali volte a fissare criteri minimi qualitativi che riducano la possibilità di forme di greenwashing – hanno sottolineato Raoul Romano e Saverio Maluccio, ricercatori Crea Politiche e Bioeconomia – significa anche valorizzare la responsabilità ambientale degli imprenditori e dei cittadini e l’unicità, riconosciuta e registrata in un Registro nazionale dei progetti agricoli e forestali realizzati in Italia e delle transazioni di mercato tra il fornitore e il beneficiario”.
L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di luglio-agosto del magazine Wall Street Italia