Si stringe il cerchio attorno a Banca Carige. Il 25 luglio prossimo è il termine ultimo concesso dalla BCE per individuare una soluzione per il rilancio della banca genovese, mentre oggi (15 luglio 2019) si consuma il primo atto con la riunione del Fondo Interbancario per decidere la data dell’assemblea dello Schema Volontario chiamato a convertire il bond da 318 milioni in capitale.
Nello schema che si sta delineando nelle ultime ore, il Fondo Interbancario, il consorzio che riunisce gli istituti italiani tranne quelli di credito cooperativo, è pronto a un secondo intervento, questa volta del Fondo Obbligatorio con un investimento di circa 200 milioni, a patto che si individuino altri compagni di cordata. A manifestare il suo interesse a partecipare all’operazione la Ccb, Cassa Centrale Banca, inizialmente pronto a sottoscrivere una quota di capitale attorno al 10 per cento, ma in prospettiva anche a salire, subentrando al Fondo Interbancario, fino a diventare il partner industriale di Carige. Il progetto del Fondo Interbancario deve però ottenere il via libera dai soci e un’eventuale bocciatura aprirebbe automaticamente alla liquidazione della banca, con conseguente cessione sul modello delle Venete.
Cosa decideranno gli altri soci? La holding della famiglia Malacalza, la Malacalza Investimenti, titolare del 27,7% del capitale, dovrebbe partecipare all’aumento, ma è fondamentale che approvi lo schema in assemblea.
Non sappiamo ancora le dimensioni esatte dell’aumento di capitale, lo stiamo definendo”.
Così aveva dichiarato venerdì scorso (12 luglio 2019) Salvatore Maccarone, Presidente del FITD (Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi), a margine dell’Assemblea dell’ABI (Associazione Bancaria Italiana).
L’aumento dovrebbe essere di circa 700 milioni e potrebbe arrivare anche un prestito subordinato Tier2 da 200 milioni sostenuto dal pubblico, con Credito Sportivo e Mcc-Banca del Mezzogiorno disponibili all’operazione. Ma al termine del salvataggio di Banca Carige, l’attenzione dei supervisori potrebbe spostarsi sulle banche di minori dimensioni, quelle con attivi inferiori ai 30 miliardi di euro e sottoposte alla vigilanza della sola Banca d’Italia. Lo scrive oggi MilanoFinanza secondo cui gli istituti più in difficoltà sono le Popolari del Sud, chiamate ad aumentare le proprie dimensioni e a maggiori investimenti in tecnologia.