La Cabina di regia di Palazzo Chigi ha deciso la sospensione del Cashback per il secondo semestre di quest’anno. La decisione è stata oggetto di aspre divisioni all’interno dei partiti della maggioranza; in particolare il M5s ha difeso con forza la misura voluta dal governo Conte II, che aveva stanziato 4,7 miliardi euro in questo progetto per il biennio 2021-2022.
Chi ha maturato i diritti per il rimborso sugli acquisti del primo semestre, se li vedrà riconosciuti. Per il futuro, però, non è chiaro quale sarà il destino dell’iniziativa il cui obiettivo era incoraggiare gli acquisti con moneta elettronica.
I numeri sull’adesione al Cashback ci dicono che dal dicembre 2020 risultano iscritti al programma 8,9 milioni di italiani, che hanno effettuato 784,4 milioni di transazioni. Nel primo semestre 2021 sono 5,89 milioni di italiani ad aver raggiunto la soglia dei 50 acquisti e che a breve riceveranno un rimborso fino a 150 euro.
Cashback sospeso, una strategia onerosa
Per il governo giallorosso, incoraggiare il pagamento elettronico negli esercizi “fisici” (è, infatti, escluso l’e-commerce) è stato un tentativo di lotta all’evasione fiscale collegata, in molti casi, all’utilizzo del contante.
L’idea ha una sua coerenza, dal momento che l’Italia risulta ancora fra i Paesi più affezionati a banconote e monete metalliche in Europa. Nel complesso, però, è difficile dire quanto questa misura – di per sé assai onerosa – avesse i presupposti per “ripagarsi da sola”. Solo nel 2022 il Cashback sarebbe venuto a costare 2 miliardi di euro. Per fare un confronto, in tutto il 2020 sono stati recuperati dalle attività di accertamento e controllo dell’Agenzia dell’entrate 8,8 miliardi.
Sconti su acquisti non a rischio evasione
Per il momento, non è possibile dimostrare, dati alla mano, quanto il Cashback abbia contribuito a combattere l’evasione fiscale in Italia. Due problemi di fondo, però, potrebbero aver spinto il governo Draghi a prendere tempo su questa misura.
Il primo era stato già evidenziato dal comandante generale della Guardia di Finanza, Giuseppe Zafarana lo scorso marzo, in audizione davanti alle commissioni Finanze di Camera e Senato. “Il cashback concentriamolo sulle categorie a maggiore rischio di evasione fiscale rispetto alle altre“, aveva sostenuto il comandante della Gdf, poiché il vantaggio in termini di gettito della misura “è subordinato all’emersione incrementale dei ricavi rispetto a quelli che sarebbero stati comunque registrati dall’insieme di aziende e professionisti interessati dalla misura”.
In parole semplici: se lo stato offre uno sconto del 10% sul conto al supermercato o al distributore di benzina, in quel caso sta regalando denaro e basta, dal momento che non si tratta di transazioni comunemente oggetto di evasione fiscale.
Secondo i dati ufficiali, il 16,2% delle transazioni Cashback risulta inferiore ai 5 euro ed è questa la componente che ci sembra più rilevante sotto il profilo della piccola evasione diffusa, perché con elevata probabilità collegata ad acquisti in piccoli esercizi (tipicamente effettuati in contante).
Un altro 21,4% (la percentuale più rilevante) ha effettuato acquisti per un valore compreso fra i 25 e i 50 euro. L’importo medio della transazione cashback, infine, è pari a 35,6 euro. Sarebbe interessante osservare quanto andrebbero a cambiare questi dati se si escludessero dal programma Cashback, come suggerito da Zafarana, “i pagamenti presso la grande distribuzione, le spese per utenze e trasporti ferroviari… categorie in cui non si rileva evasione fiscale”. Di certo, tali esclusioni avrebbe contribuito a ridurre l’onerosità del Cashback per lo Stato e, probabilmente, avrebbero anche sortito un maggior effetto anti-evasione.
La penetrazione fra i soggetti meno digitalizzati
La seconda criticità investe il profilo degli utilizzatori del Cashback: quanti, nei fatti, sono passati ai pagamenti elettronici grazie alla misura, e quanti altri hanno approfittato degli sconti pur facendo in precedenza un uso abituale delle carte di pagamento? I dati della App Io non ci comunicano un dato importante: quanti sono gli anziani che hanno attivato il Cashback. Sarebbe interessante saperlo, poiché le fasce di età più avanzata sono anche quelle più abituate all’uso del contante e meno avvezze all’utilizzo delle tecnologie.
Eppure, la relativa complessità dell’iscrizione al piano non poneva i migliori presupposti all’adesione da parte dei soggetti con scarse competenze digitali. Già lo scorso dicembre Altroconsumo aveva dichiarato come “gli anziani” fossero “costretti a farsi aiutare da figli e nipoti per non essere tagliati fuori dai rimborsi, che possono fare la differenza per il loro bilancio mensile”.
Anche in questo caso, se ad usare le carte di pagamento tramite Cashback sono in buona parte gli stessi soggetti che già le utilizzavano anche in precedenza il rischio è che l’investimento sulla misura non produca, alla fine, gli effetti sperati.