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Caso Ablyazov: dietro al blitz guerra tra banche truffate

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ROMA (WSI) – Ci sono numerosi interessi, soprattutto economici, che si muovono dietro l’affaire kazako. E potrebbe essere proprio questo il filo da seguire per individuare chi ha ordinato la «consegna» della signora Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua alle autorità di Astana. E così scoprire i retroscena dell’operazione cominciata ufficialmente il 28 maggio scorso con la visita dell’ambasciatore Andrian Yelemessov alla questura di Roma e terminata il 31 maggio alle 19 con la partenza delle due donne a bordo del jet privato della compagnia austriaca Avcon.

Ma forse avviata diversi giorni prima. Si rafforza l’ipotesi che quell’espulsione servisse a far uscire allo scoperto il marito Mukhtar Ablyazov, che fosse il ricatto all’Italia dopo la fuga dell’uomo. Perché si scopre che il dissidente era in realtà scappato dalla Gran Bretagna nonostante questo gli facesse automaticamente perdere lo status di rifugiato. Braccato da chi lo accusa di aver messo in piedi una truffa da circa 10 miliardi di dollari quando era presidente della Bta, la banca più importante del Kazakistan che per questo aveva avviato contro di lui un’azione legale in Gran Bretagna, lo stesso Paese che poi decise di concedergli asilo politico. E nella lista dei creditori, si scopre adesso, ci sono anche otto istituti di credito italiani, «inseriti nell’elenco delle vittime di frodi di Ablyazov».

L’ATTIVAZIONE ITALIANA DEL 16 MAGGIO – Mario Trotta, l’ex carabiniere e adesso investigatore privato titolare dell’agenzia Sira che pedinava Ablyazov, sostiene di aver ricevuto l’incarico il 16 maggio da un’agenzia di Tel Aviv. Chi aveva ricevuto l’informazione che il dissidente era giunto a Roma e poteva essere catturato? E da chi arrivava? Il team incaricato dei pedinamenti presenta numerose relazioni alle autorità kazake, aggiornate con tutti gli spostamenti dell’uomo. L’ultima si riferisce alla serata del 26 maggio quando lo seguono mentre va a cena in un ristorante nella zona dell’Infernetto e poi fino al rientro a casa. Dopo non accade più nulla. Loro sono convinti che sia rimasto nella villetta di Casal Palocco e dunque continuano gli appostamenti. Invece Ablyazov, che si è accorto di essere sotto controllo o forse ha ricevuto una «soffiata», riesce a fuggire.

Il 28 maggio l’ambasciatore Andrian Yelemessov contatta per tre volte il ministro dell’Interno Angelino Alfano. Ufficialmente non sa che la preda è ormai scappata. «Non potevo rispondere e incaricai il capo di gabinetto Giuseppe Procaccini di occuparsene», assicura. In attesa di recarsi al Viminale, contatta la segreteria del questore e poi viene ricevuto dal capo della Squadra mobile Renato Cortese. Porta i documenti per dimostrare dove si nasconde Ablyazov, ne chiede l’arresto. Ebbene, 55 giorni dopo quell’incontro, non è stato ancora svelato chi «consigliò» al diplomatico di recarsi direttamente negli uffici di San Vitale. Generalmente gli ambasciatori hanno come interlocutore la Farnesina. Possibile che Yelemessov non attivò subito quel canale? Possibile che non parlò con nessuno degli Esteri, prima di bussare alle porte del ministero dell’Interno?

NELLA LISTA UNICREDIT E MEDIOBANCA – Eppure Ablyazov era al centro di un vero intrigo internazionale, come dimostrano i documenti raccolti in Gran Bretagna. La scoperta di un «buco» di almeno 10 miliardi di dollari viene scoperto dalla Bta nel febbraio 2009. Si decide così «una ristrutturazione grazie al Fondo sovrano Samruk Kazyna», ma soprattutto si scopre che mentre ricopre l’incarico di presidente, Ablyazov avrebbe concesso «ingenti prestiti a enti impossibili da individuare, spesso senza garanzie». Il sospetto è che tra questi ci fossero «organizzazioni di cui lo stesso Ablyazov era proprietario e beneficiario». Sono proprio gli atti raccolti nel Regno Unito a rivelare che «tra i creditori che a livello internazionale erano stati vittime delle frodi di Ablyazov figuravano i seguenti istituti di credito italiani: Unicredito italiano, Banca popolare di Vicenza, Banca Monte dei Paschi di Siena, Mediobanca, Banca agricola mantovana, Banca nazionale del lavoro, Banca Antonveneta, Banca Ubae». Tutti insieme hanno ottenuto il sequestro dei suoi beni.

LE VILLE CON PISCINA E SALE DA BALLO – Sono proprio i documenti allegati al fascicolo della Corte britannica e rivelare come le proprietà di Ablyazov avessero un valore oscillante tra i 41 e i 46 milioni di sterline e nell’aprile scorso i giudici hanno autorizzato i liquidatori alla vendita delle proprietà immobiliari. Il bene di maggior pregio è «Carlton House, villa a nord di Londra, acquistata nel 2006 attraverso una società offshore per 15,5 milioni di dollari.

È composta fra l’altro da una sala da ballo di circa 50 piedi, una biblioteca, 9 camere da letto, una piscina e un bagno turco da 12 persone».
In vendita anche «Oaklands Park, nel Surrey, acquistata nel 2006 attraverso una società offshore per 8,15 milioni di sterline. È composta da 100 acri di terreno e otto case». E poi c’è «Alberts Court, appartamento che si trova a St.John’s Wood a Londra, acquistato nel 2008 attraverso una società offshore per 965 mila sterline». Questa è la fortuna di Ablyazov. Difficile credere che dietro la vicenda che riguarda la sua famiglia non ci sia soprattutto la battaglia per mettere le mani sul suo patrimonio.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Il Corriere della Sera – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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