MILANO (WSI) – Prima il profondo rosso, poi il recupero. All’apertura dei mercati, ieri, il titolo Mps s’è inabissato fino a -6%. «Non riesce a fare prezzo, titolo sospeso». Poi le nuvole si sono diradate, la giornata si è conclusa in positivo: +1,39%, con scambi oltre il 3% del capitale.
Dopo lo stop imposto dalla Fondazione Mps all’aumento di capitale proposto dal cda della banca – dal presidente Alessandro Profumo e dall’ad Fabrizio Viola – per gennaio, l’incertezza pesa. La Fondazione ha voluto rinviare a maggio, ora l’attenzione è concentrata su Viola e Profumo. Lasceranno? Antonella Mansi, presidente della Fondazione, chiede a Profumo di restare.
L’ente di Palazzo Sansedoni attraversa un momento difficile. Ha 340 milioni di debito garantiti da un pegno sulle sue azioni Mps, che andranno ai creditori se il prezzo scende sotto 0,128 euro. La Fondazione non può che vendere, cosa che ha più volte chiarito di voler fare, ma allungando i tempi spera di uscire valorizzando meglio la sua quota (33,5%, oggi vale circa 680 milioni), magari conservando una partecipazione significativa. Morale: l’ultima cosa che desidera Mansi è un terremoto – tipo le dimissioni di Profumo – in banca e in Borsa.
Solo che fuori da Siena, dove tutti applaudono la presidentessa di ferro, la mossa non è piaciuta. Bankitalia e Consob fanno sapere che seguiranno «con la massima attenzione gli sviluppi della vicenda» svolgendo «un monitoraggio coordinato».
La Commissione ieri si è riunita all’alba, pronta a fermare le vendite allo scoperto se il titolo fosse precipitato. Seccato anche il presidente della Toscana Enrico Rossi, che invita tutti a lavorare per far restare Profumo. La pensa diversamente il presidente della Provincia di Siena Simone Bezzini (come Rossi, esponente Pd): «Ho promosso incontri a livello regionale e nazionale quando è stato chiaro che si sarebbe arrivati allo scontro sull’aumento. C’è stata disattenzione».
C’è poi il nodo di Bruxelles. I 4,1 miliardi di Monti bond che tengono in piedi la banca vanno restituiti entro fine 2014, condizione imposta dall’Unione europea per non considerarli aiuti di Stato illegittimi.
A questo serve l’aumento di capitale da 3 miliardi. Poco prima di Natale, in un’intervista a La Stampa, il vicepresidente della Commissione (e responsabile della concorrenza) Joaquin Almunia aveva lanciato un messaggio chiaro: «Il piano deve essere attuato. So che non sarà facile, ma ho ricevuto assicurazioni piene sul fatto che lo eseguiranno come previsto».
Ora le fonti europee ribadiscono: «Ci attendiamo che a Siena rispettino le intese». Il tono è cambiato: dieci giorni fa era un monito, adesso la voce è preoccupata. Il mancato rispetto del piano farebbe venir meno l’autorizzazione ai Monti bond. Il che non rappresenta solo un problema procedurale per le autorità italiane. «La ricapitalizzazione della banca e il connesso piano di ristrutturazione sono necessari per garantire la solidità e scongiurare un futuro di nuovi aiuti pubblici».
Non solo. «Questo è l’anno dell’asset quality review condotta dalla Bce per misurare la tenuta del sistema creditizio in vista dell’avvio della unione bancaria». Entro ottobre Francoforte farà le pulci agli istituti europei per poi presentare le sue pagelle di patrimonializzazione. «Non c’è tempo – dicono le fonti – ed è naturale che conviene arrivare all’esame della Bce con le carte in regola. La bocciatura potrebbe obbligare ad andare sul mercato insieme con le altre banche che verranno pescate col patrimonio squilibrato, dunque con un costo maggiore».
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