ROMA (WSI) – Nella suite al ventiduesimo piano dell’hotel Langham, sulla Fifth Avenue, Enrico Letta si è svegliato molto presto – ma in Italia era quasi mezzogiorno – e da quel momento, in una consultazione febbrile con Giorgio Napolitano, il presidente del Consiglio si è deciso a rompere gli indugi e per la prima volta da quando è a palazzo Chigi intende muoversi in modo formale e stringente: provando nelle prossime ore a mettere il Pdl «davanti alle sue responsabilità» con due mosse. La prima si consumerà questa sera (o al più tardi domani mattina) nel salone del Consiglio dei ministri: Letta ha intenzione di aprire la riunione, rivolgendosi in tono formale ai ministri del Pdl e al suo capodelegazione Angelino Alfano, chiedendo senza tante perifrasi se siano ancora membri del governo e comunque quali intenzioni abbiano loro e il partito che rappresentano.
Naturalmente Letta e i ministri del Pdl hanno tante cose in comune, potrebbe esserci qualcosa di artificioso nel confronto, ma ci sono momenti nei quali la forma diventa sostanza. Anche perché la risposta dei ministri di Berlusconi condizionerà la tappa successiva, peraltro già programmata da Letta per martedì in Parlamento: lì il presidente del Consiglio ha intenzione di presentarsi, pronunciare un intervento, al termine del quale chiederà la verifica del rapporto fiduciario. Discorso che si preannuncia sofferto, per certi versi drammatico e probabilmente destinato a contenere anche l’esplicitazione del «prezzo» di una eventuale crisi di governo: con la caduta dell’esecutivo si bloccherebbero tutti i decreti relativi alle imposte – quelli approvati, quello in attesa di approvazione, comunque tutti da convertire in legge – con un costo per gli italiani di circa 9 miliardi. Come dire: caro Berlusconi, non soltanto provochi la crisi ma rendi operative due tasse che dici di voler cancellare.
Un timing deciso ieri e che sarà perfezionato nella giornata di oggi: l’atterraggio dell’aereo del governo a Ciampino è previsto per le 12 italiane e – «dopo aver fatto una doccia», come ha detto ieri Letta con una concessione intimista – a quel punto il presidente del Consiglio sarà ricevuto al Quirinale per valutare le ultime novità della mattinata. Nel colloquio a tu per tu con il Capo dello Stato, si concluderà la parentesi americana di Letta che, esattamente come all’ultimo G20 di San Pietroburgo, ha vissuto a New York una scissione interiore, specchio di quella più grande che investe il Paese.
Sono state giornate sofferte per il presidente del Consiglio, impegnato in incontri, eventi e discorsi al massimo livello e al tempo stesso inseguito da notizie e contatti telefonici con i fautori di una rottura della maggioranza. Senza mai perdere d’occhio la «partita» del congresso del Pd: Letta si è personalmente tirato fuori, ma si è fatto aggiornare sulle ultime dai suoi. A conferma che, se un domani ci fossero le condizioni, Letta prenderà davvero in considerazione l’opportunità di partecipare alle Primarie, non certo per la segreteria del partito, ma per la premiership.
Naturalmente, in un contesto come quello di New York, ben altri sono stati i pensieri prevalenti di Enrico Letta. Una volta deciso il timing – anzitutto il Cdm e poi il discorso alla Camera – il primo enigma riguarda proprio la data del Consiglio dei ministri. Nei giorni scorsi era stata data per scontata la convocazione per oggi di un Consiglio chiamato ad occuparsi di Iva, correzione dei conti per rientrare nei parametri europei e forse golden share sulla Telecom. Ma dopo l’iniziativa del Pdl, soltanto oggi si conosceranno data e ora del Cdm. Troppe le incognite che ancora gravavano ieri sera e che hanno sconsigliato Letta e il suo braccio destro Patroni Griffi a convocare formalmente il Cdm per questa sera. La convocazione potrebbe essere spostata a domani mattina, persino a domenica, comunque entro e non oltre lunedì, perché a partire da martedì diventerebbe operativo l’aumento dell’Iva, per non parlare delle misure di aggiustamento, necessarie per evitare una nuova procedura di infrazione da parte della Commissione europea.
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Iva, in bilico il blocco dell’aumento
di Raffaello Masci
«Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie». Questi versi di Giuseppe Ungaretti si attagliano come non mai all’attuale governo, il quale – ciò nondimeno – dovrà oggi affrontare dei temi cruciali, senza possibilità di rinvii o slittamenti: dallo stop dell’aumento dell’Iva dal 21 al 22% alle coperture per rientrare dallo sforamento del deficit, dal rifinanziamento delle missioni internazionali fino alle emergenze legate a Telecom (golden share) e alle aziende Riva.
Solo per Iva, deficit e missioni militari occorre trovare 3 miliardi. E tutto questo nonostante la latente minaccia di una crisi di governo che renderà incandescente il consiglio dei ministri fissato per oggi ma ancora non convocato.
Tuttavia le questioni restano e sono pressanti. Prima di tutte quella dell’Iva, il cui aumento è ormai fissato – immancabilmente – al primo ottobre, martedì prossimo. O si trova una soluzione o l’aumento scatta, con tanti saluti a tutti. Il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni ha manifestato un cauto ottimismo, ma con questi venticelli per aria, vai a capire. Il fatto è che bisogna (entro martedì) trovare un miliardo, altrimenti da quel giorno in avanti tutto sarà più caro, fatta eccezione per pochissimi beni di prima necessità. Ad essere toccati sono circa il 60% dei beni di largo consumo, dall’abbigliamento alla benzina, dalle bollette per le utenze domestiche ai materiali scolastici, dal vino ai beni durevoli fino alle parcelle dei professionisti. Solo marginalmente sarebbero toccati i generi alimentari di prima necessità, ma la Cia (la Confederazione degli agricoltori) lamenta che nonostante solo il 5% del paniere Iva sia toccato da questo rincaro, il calo della domanda è già stimato in meno 2,2% nel solo anno in corso. Senza dire delle preoccupazioni che da mesi vengono dalle organizzazioni del commercio, le quali passerebbero dalla padella della contrazione dei consumi alla brace delle chiusure a raffica degli esercizi.
Dunque il ministero dell’Economia ce la mette tutta, ma se non si parla di tagli l’unica ipotesi a restare in piedi è quella dell’aumento delle accise sui carburanti di 4 centesimi al litro e che darebbe un gettito fino a 1,5 miliardi. Ipotesi molto controversa per due motivi: il primo è che il governo con una mano dà e con l’altra prende, in quanto il rincaro verrebbe spalmato su tutta la platea dei contribuenti proprio come l’Iva. Il secondo è che negli ultimi tre anni l’accisa è stata aumentata 5 volte ed è cresciuta del 46% sul gasolio e del 29% sulla benzina, determinando una contrazione dei consumi, pari al 30% su strada e del 50% su autostrade , secondo la Faib-Confesercenti. La pezza, dunque, potrebbe essere peggiore dello strappo.
Servono poi un miliardo e 600 milioni per correggere lo sforamento dello 0,1% il deficit, che era al 3,1% secondo la Nota di Aggiornamento del Def e deve essere riportato sotto il 3% pena la riapertura della procedura di infrazione comunitaria appena chiusa. Si dovrebbe procedere con tagli alla spesa corrente dei ministeri, secondo le ultime notizie, ma i ministeri hanno già subito tagli pesanti in tutte le ultime manovre dai tempi dell’ultimo Berlusconi in avanti, e la cosa non appare agevole. Infine sta scoppiando nelle mani del governo l’ennesima grana legata agli stabilimenti della famiglia Riva. Come è noto il Gip di Taranto ha bloccato il 12 settembre tutti gli impianti del gruppo (ad eccezione dell’Ilva) nonché i beni della famiglia. Ma così facendo ha impedito – di fatto se non di diritto – anche ad altre aziende del gruppo di disporre della liquidità per pagare gli stipendi e, in questa situazione, non esiste possibilità di avere fideiussioni bancarie. Il ministro Flavio Zanonato ha predisposto un decreto che fare fronte anche a questo. Se un Consiglio dei ministri ci sarà, la materia non sarà rinviabile.
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