ROMA (WSI) – Da statuto di norma la Cassa depositi e prestiti dovrebbe rilevare solo aziende sane e invece interviene puntualmente quanto i rottami dell’industria italiana non suscitano l’interesse dei grandi imprenditori.
Come scrive Giovanni Pons su La Repubblica, che si sofferma sull’esperimento fallimentare di Saipem ( modello che potrebbe essere seguito anche per l’Ilva) la Cdp rischia di diventare un ibrido tra l’Iri – l’Istituto per la Ricostruzione Industriale liquidato nel 1992 e nato nel 1933 su iniziativa di Mussolini per salvare le principali banche del paese – e un cimitero di elefanti.
“L’operazione Saipem per la Cassa Depositi e Prestiti si sta traducendo in un salasso di proporzioni notevoli“, dice il quotidiano. “Sui 900 milioni versati tra acquisto del 12,5% dall’Eni e aumento di capitale, ai prezzi di ieri la quota vale 445 milioni, meno della metà. È un po’ come se l’Eni avesse ricevuto indietro dallo stato un dividendo da 450 milioni ma poichè il gruppo petrolifero è a sua volta partecipato al 26,6% dalla Cdp una parte di quei soldi rappresenta una partita di giro“.
Un po’ come successo anche con Alitalia il problema spesso nasce dal fatto che non ci sono imprenditori privati italiani disposti o con le capacità finanziarie per rilevare un’azienda del genere. Ecco allora che per scongiurare che Saipem finisse in mani russe, il governo ha fatto affidamento al Fondo Strategico.
“Lo stesso ragionamento viene fatto in questi giorni per l’Ilva, per la quale Cdp ha manifestato interesse a rilevare una quota di minoranza insieme ad altri imprenditori italiani“, osserva il quotidiano.
Il rischio di un bagno di sangue “anche in questo caso è dietro l’angolo ma se si vogliono mantenere in vita gli impianti di Taranto e tutto l’indotto dell’acciaio non esistono molte altre vie percorribili. L’importante è che Costamagna e Gallia trovino il coraggio di dire no a Renzi su un eventuale ingresso in Montepaschi che comporterebbe un obbligo ricapitalizzazione per la stessa Cassa“.