Quasi 1 italiano su 2 lavora in una microimpresa. Lo afferma la Cgia di Mestre in uno studio relativo alle micro aziende, vale a dire le attività imprenditoriali da 0 a 9 addetti. In Italia, sottolinea l’associazione di Mestre, sono oltre 4,1 milioni di unità (pari al 95 per cento del totale) e danno lavoro a quasi 7,6 milioni di cittadini (pari al 44,5 per cento del totale), un numero quasi doppio rispetto a quello riferito alle grandi aziende che, segnala l’Ufficio studi della CGIA, “assorbono” solo 3,8 milioni di addetti.
“Fino a quarant’anni fa erano ritenute residuali, quasi un effetto collaterale del boom economico esploso negli anni ‘60. Molti esperti, addirittura, prevedevano che nel giro di qualche decennio sarebbero scomparse a causa della globalizzazione. Diversamente, le micro imprese si sono consolidate e oggi costituiscono uno degli assi portanti della nostra economia. E nonostante la crisi le abbia colpite duramente, mantengono ancora un peso occupazionale rilevante, sebbene la politica e in generale l’opinione pubblica non le tengano in grande considerazione”.
Così sottolinea il coordinatore dell’Ufficio studi, Paolo Zabeo che con l’occasione chiede al governo che si inizi a legiferare con particolare attenzione alle richieste sollevate dal mondo delle piccole e micro imprese che puntano il dito contro lo sconto in fattura per i lavori relativi a ecobonus e sismabonus introdotto dal decreto crescita e il salario minimo orario.
Se questa misura diventasse legge – afferma il Segretario Renato Mason – il costo aggiuntivo in capo alle sole imprese artigiane sarebbe di 1,5 miliardi all’anno. Un aggravio considerevole, anche se decisamente sottostimato, in quanto non include l’effetto trascinamento che l’introduzione del salario minimo per legge avrebbe nei confronti dei livelli retributivi che oggi si trovano sopra i 9 euro lordi. Appare evidente che, ritoccando all’insù la retribuzione per i livelli più bassi, la medesima operazione dovrebbe essere effettuata anche per gli inquadramenti immediatamente superiori. Diversamente, molti lavoratori si vedrebbero ridurre o addirittura azzerare il differenziale salariale con i colleghi assunti con livelli inferiori, pur essendo chiamati a svolgere mansioni superiori a questi ultimi”.