Mi trovavo in vacanza nelle Filippine e quando sono andato a mangiare da McDonald’s, mi sono reso conto che mancavano i chicken McNuggets. Credendo fosse solo un disguido temporaneo, il giorno seguente sono andato in cerca di pollo da Jollibee, una delle più grandi catene di fast food del Paese, specializzata nel pollo fritto, ma anche qui nessuna traccia del mio volatile preferito. Questo fatto mi ha incuriosito, così ho fatto qualche ricerca, il cui risultato mi ha lasciato senza parole.
Negli ultimi mesi, infatti, diverse aree del mondo sono alle prese con una vera e propria scarsità di pollo. I paesi più colpiti da questa carenza sono la Malesia e le Filippine, paesi in cui diverse catene di fast food hanno annunciato di non essere più in grado di servire pollo, rimuovendolo temporaneamente dai menu. A Manila, capitale delle Filippine, il prezzo del pollo da inizio anno è aumentato di oltre il 25%; mentre la Malesia, a causa della carenza di scorte di pollo, ha vietato le esportazioni aumentando parallelamente le importazioni dalla vicina Singapore.
Ma cosa sta succedendo e perché manca il pollo in Asia? Il Bureau of Animal Industry del Dipartimento dell’agricoltura ha elencato i diversi fattori che hanno innescato l’attuale scarsità di polli in questi Paesi. Cerchiamo di riassumerli.
I 4 motivi per cui manca il pollo in Asia
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Incremento della domanda
In primo luogo, bisogna considerare che dopo il lockdown abbiamo avuto un boom della domanda di carne di pollo, a seguito della riapertura di ristoranti, fast food e hotel. E se da una parte continua a crescere la domanda di pollo, dall’altra diminuisce l’offerta, con l’allevamento di pollo che non è ancora tornato ai livelli pre-pandemici.
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Aumento dei costi di produzione
Il continuo aumento dei prezzi dei mangimi penalizza l’allevamento dei polli. Infatti, il costo dei mangimi rappresenta circa il 70% del costo totale di un allevamento. Secondo un allevatore del luogo, “il prezzo dei mangimi sono aumentati del 33% in poco più di un anno e man mano che i mangimi diventano più costosi, la produzione di pollo diminuisce”. Le Filippine dipendono fortemente da altri Paesi per l’importazione di semi di soia (ingrediente prezioso per i mangimi dei volatili); mentre la Malesia necessita circa di due milioni di tonnellate all’anno di granoturco (ingrediente principale dei mangimi), importandolo da paesi come Argentina, Brasile e Stati Uniti, ma nell’ultimo anno i loro prezzi sono raddoppiati.
Sempre in tema costi di produzione, bisogna considerare anche che la Malesia si affida per gli allevamenti agli immigrati, ma a seguito della pandemia molti sono stati rimandati nei loro Paesi di origine. Inoltre, dopo la riapertura dei confini, il governo malese ha annunciato un aumento del 25% del salario minimo e con tale aumento le aziende non possono più permettersi di portare nuovi lavoratori stranieri nel Paese. Come osserva un allevatore malese, “prima della pandemia un bracciante gestiva allo stesso tempo 15 pollai mentre adesso 10, con una riduzione di circa 2.000 polli”.
È chiaro quindi che una diminuzione del costo del mangime farebbe scendere di pari passo i costi di produzione, permettendo così agli allevatori di tenere più polli. Inoltre, bisogna considerare anche l’aumento del prezzo del carburante, che ha un impatto sulle catene di approvvigionamento.
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Siccità
Un altro fattore che contribuisce alla scarsità delle forniture di polli è il cambiamento climatico, che sta colpendo anche Filippine e Malesia. I due paesi non stati risparmiate dalla morsa della siccità e il caldo torrido è stato aggravato anche dal “El Niño”, un fenomeno climatico che provoca un forte riscaldamento delle acque superficiali dell’oceano. Inoltre, l’alto livello di umidità non aiuta certamente gli agricoltori e questo non fa altro che aggravare il problema dei costi dei mangimi. Come afferma un allevatore “i polli richiedono temperature specifiche per la loro crescita e qui a volte fa troppo caldo, a volte fa troppo freddo”.
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Malattie
I polli possono ammalarsi per colpa di batteri come l’escherichia coli, ma anche per la malattia di Newcastle, un virus che sta avendo una maggiore incidenza in Malesia e che colpisce il sistema respiratorio, nervoso e digerente del pollame provocandone la morte. Inoltre, la scarsità dell’offerta di polli è dovuta anche alla minaccia dell’influenza aviaria, che ha costretto le autorità locali ad effettuare controlli più rigorosi sui prodotti a base di pollame.
Come se la passano invece i polli europei e americani?
Come sta il pollo nel resto del mondo
Anche nel resto del mondo il prezzo della carne di pollo è sui massimi storici, a causa dell’impennata dei costi di produzione, ma ciò in questo caso non pregiudica l’offerta di pollame. Il prezzo dei mangimi è stato spinto al rialzo anche dallo scoppio del conflitto in Ucraina. Il grano, la soia e la farina di girasole sono i principali ingredienti dei mangimi e il loro prezzo è aumentato molto nell’ultimo anno, con pesanti ripercussioni sui margini di tutta la filiera. Infine, anche nel resto del mondo, compresa l’Italia, la carenza di manodopera si aggiunge agli elementi di preoccupazione, con un impatto diretto sui costi di produzione.
Il grafico sotto raffigura l’andamento del prezzo al dettaglio del pollo intero in America dal 1980 ai giorni nostri. Si vede chiaramente che ora i prezzi sono ai massimi storici.
Qui possiamo vedere l’andamento del prezzo dei busti di pollo in Francia: anche qui, si registra una crescita anomala.
E in Italia? Sulla piazza di Milano, un chilogrammo di pollo ha un costo compreso tra i 2,95 euro delle cosce e i quasi 7 euro al kg per il petto di pollo.
Verso i pollai automatizzati?
La siccità come abbiamo visto si unisce ai fattori che incidono sulla filiera del pollame. Per cercare di contrastare anche questo problema, un’università della Malesia (UPM) sta sperimentando dal 2019 un “pollaio automatizzato”. Si tratta di un edificio con un ambiente controllato, in cui gran parte del processo di allevamento dei polli è automatizzato. In questo tipo di pollaio, un lavoratore può prendersi cura di circa 15-20 mila uccelli, rispetto ai 10 mila di un pollaio aperto. Inoltre, secondo un allevatore, “ridurre al minimo il numero di lavoratori può ridurre al minimo l’introduzione di malattie zoonotiche, che possono essere trasmesse dagli animali all’uomo e persino dall’uomo agli animali”.