E’ notizia di ieri che il Consiglio di Stato ha sospeso in parte le disposizioni attuative della Banca d’Italia riguardo la riforma delle Banche Popolari. In particolare si tratta, tra altri aspetti, della possibilità di consentire alle popolari di inserire una clausola nello statuto con la quale il rimborso per chi esercita il recesso «può essere limitato o rinviato in tutto o in parte senza limiti di tempo». Uno svarione che ha generato il rischio di incostituzionalità di alcuni aspetti della riforma e alla quale la circolare della vigilanza ha dato semplicemente attuazione.
Come è possibile che il legislatore prima, il governo e il parlamento, e l’attuatore poi, la Banca d’Italia, non abbiano tenuto in considerazione il diritto dei singoli soci?
Purtroppo la fuoriuscita dai “radar” dei singoli, ovvero noi tutti, non è fenomeno che riguarda solo le leggi. Guardando attentamente i Business Plan, ovvero i piani di futuro, delle grandi aziende quotate in borsa (anche quelle d’oltreoceano!), nell’annuncio dei grandi piani di trasformazione, tipicamente di efficienza (cioè taglio costi), non vi è traccia dei benefici che ne avranno i clienti. Questo è particolarmente evidente (e grave) proprio per le banche che da più parti sono chiamate, da questa e dall’altra parte dell’Atlantico, a cambiare “business model” ma che nei loro piani non solo non ve ne è traccia ma non si capisce nemmeno dove sta più il cliente che dovrebbe comprare, e per quale motivo, i loro servizi.
Pare che i sistemi sociali tutti, economico, politico, giuridico, educativo, dei mass-media, ecc., sembrano davvero avviati verso uno loro sviluppo autonomo e “autopoietico”, come preconizzava Niklas Luhmann , ma ignorando sempre più pericolosamente il loro “ambiente naturale” che sono, appunto, le persone. Addirittura i sistemi sociali che più dovrebbero essere a noi vicini, quell’apparato mediatico-indagatorio delle indagini e previsioni di mercato, ha mostrato recentemente il suo distacco dalla “base” con i sorprendenti, e inaspettati, risultati degli eventi politici della Brexit e delle presidenziali americane.
Non dovrebbe allora stupire più di tanto che in questo vuoto generato dalle autoreferenzialità di tali sistemi si insedino, per il principio dell’ horror vacui valido evidentemente anche in sociologia, quei “sempliciottismi” che vogliamo eufemisticamente etichettare “populismi”.
Vi è una soluzione a questa pericolosa deriva che rischia il catastrofico crollo, e non una eventuale prudente sostituzione o “manutenzione”, delle istituzioni sociali tutte?
Sì, e passa da una nuova stagione, perché mai sperimentata nella storia dell’umanità, di complessiva e sofisticata “progettazione sociale” in tutti gli ambiti. E’ ora di superare la corrosa e malandata retorica della “democrazia” che si nutre di singoli, episodici e sporadici eventi di “contatto” (elezioni, redazioni di piani aziendali e loro presentazioni, indagini di opinioni varie, ecc.) che non sono più in grado di sostenere un qualsivoglia allineamento tra un organo, qualsiasi esso sia, deputato alla pianificazione ed esecuzione e il contesto nel quale deve agire.
Le cose accadono se tutti lo vogliono e tutti devono avere la possibilità di confrontarsi per decidere, e dunque realizzare, cosa far accadere. In mancanza di questa possibilità ognuno lo stesso farà ciò che crede con risultati scomposti, scoordinati, a beneficio di alcuni e danno di altri.
E’ difficile? Certo, ma non impossibile e se mai si inizia un dibattito su questo livello profondo delle cause dei malesseri del XXI secolo mai si arriverà ad una soluzione. L’alternativa è che un governo, di qualsiasi parte del mondo, decida su una riforma, un regolatore la attui dimenticandosi entrambi dei sacrosanti diritti di coloro che hanno eletto il primo e pagano, con le tasse, lo stipendio al secondo.