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CHE PIAGNISTEI SUI TASSI, PER UN QUARTINO DI PUNTO

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(WSI) – Con un sapiente crescendo di dichiarazioni pubbliche, lungo il mese di novembre, il presidente della Bce si era tagliato i ponti alle spalle. Con un duplice risultato: da un lato, tagliare l´erba sotto i piedi delle prevedibili resistenze politiche e, dall´altro lato, preparare i mercati finanziari a una tranquilla metabolizzazione del rincaro del costo del denaro. Cosicché l´annuncio dell´aumento di un quarto di punto del tasso ufficiale sull´euro è risultato ieri nulla più che l´adempimento finale di un processo decisionale ormai scontato. E che, infatti, non ha provocato traumi particolari.

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Non solo perché giudica eccessivi quei timori di aumento dell´inflazione che Trichet e colleghi hanno invocato come principale ragione della loro scelta. Ma anche perché – si sostiene – la ripresa economica dei mercati europei è ancora così debole che potrebbe essere soffocata in culla dal rialzo dei tassi. Sul primo punto la critica appare piuttosto sorprendente giacché è noto a tutti che la Bce ha come obiettivo programmatico di tenere il tasso di inflazione di Eurolandia entro il tetto del due per cento.

Dunque o si ha il coraggio politico di sostenere che occorre spostare più in alto l´asticella dell´obiettivo-prezzi oppure si deve riconoscere che la mossa della Banca di Francoforte arriva semmai in ritardo rispetto a una curva dell´inflazione da mesi ben sopra il due per cento, soprattutto a causa dell´andamento del mercato petrolifero.

Quanto al rischio di un colpo di freno alla ripresa, l´impressione è che si stia drammatizzando ben oltre il dovuto l´impatto sul ciclo economico di un rialzo così contenuto. Chi, per esempio, si è lanciato in catastrofiche previsioni di rivalutazione dell´euro (con conseguente penalizzazione delle esportazioni europee) è stato ieri smentito dal mercato dei cambi. Al quale è bastata l´assicurazione che quel quarto di punto non inaugura obbligatoriamente un ciclo rialzista per ridimensionare ancora di più la quotazione dell´euro. Del resto, un sistema produttivo che non ha saputo trovare grande slancio in trenta mesi di denaro al più basso costo dal dopoguerra non ha validi argomenti da far valere contro una piccola misura di prevenzione sul fronte dei prezzi.

Chi poi a Roma si lamenta perché la decisione di Francoforte produrrà un aumento della spesa per interessi sul debito pubblico dovrebbe fare il minimo sforzo logico di badare piuttosto alla trave nel proprio occhio. Quel quartino di punto in più peserà sulla bolletta degli interessi assai meno di quella crescita dello stock complessivo del debito che, invece di scendere al 100 per cento del Pil come promesso da Berlusconi, tornerà quest´anno a salire vero quota 110. Questo e questo soltanto è il vero aumento di cui l´Italia si dovrebbe preoccupare, anche perché esso potrebbe provocare a breve una revisione in negativo dell´affidabilità dello Stato debitore. Con effetti, quelli sì, davvero assai pesanti sul bilancio.

E non basta. Chi conosce ciò che bolle nella pentola di Francoforte sa che non c´è solo il contrasto all´inflazione fra i motivi della mossa della Bce. Sebbene non detta per diplomazia politica, ha altrettanto pesato l´esigenza di inviare un richiamo fermo a quei governi che non hanno approfittato dei più bassi tassi d´interesse per domare il debito, ma addirittura lo hanno lasciato allegramente risalire. Richiamo che ha l´Italia come principale imputata dato che il nostro debito è di gran lunga il più alto di tutta l´Europa e costituisce perciò la maggiore insidia alla stabilità della moneta comune. Vale, insomma, per Berlusconi e soci la vecchia lezione: chi è causa del suo mal, pianga se stesso.

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