Economia

Chi ha in mano il debito degli italiani?

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La recente ondata di vendite che ha investito il mercato obbligazionario ha portato ad un’impennata dei rendimenti dei Btp e a un ampliamento repentino dello spread. Questi movimenti, oltre a fattori sistemici e specifici dell’Italia, riflettono un’ampia attività speculativa sul nostro Paese determinata dall’elevata porzione di debito pubblico in possesso dei mercati. Vediamo dunque chi sono i detentori del debito italiano e quali implicazioni comporta la composizione dei creditori dello Stato.

La composizione del debito pubblico per detentori

Il grafico sottostante, elaborato da Mazziero Research sulla base dei dati di Bankitalia, raffigura la ripartizione del debito per tipologia di investitori. Sostanzialmente, circa un quarto è detenuto dalla Banca d’Italia, un quarto dalle banche nazionali (IFM residenti) e un quarto all’estero (non residenti).

Il quarto rimanente è suddiviso in parti uguali tra Istituzioni finanziarie nazionali – principalmente assicurazioni e fondi pensione – e da altri residenti, cioè da privati e aziende. Gli analisti precisano che la detenzione da parte di investitori italiani attraverso fondi di investimento o altri strumenti finanziari di natura estera ricade sotto la voce “non residenti”.

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Come sono cambiati negli anni i detentori del debito pubblico

Interessante anche esaminare l’evoluzione dei detentori negli anni, evidenziata dal seguente grafico di Bankitalia (dal report “Finanza pubblica: fabbisogno e debito” di settembre 2023).

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Negli ultimi 11 anni, la percentuale di debito detenuta da Banca d’Italia è aumentata in maniera esponenziale, mentre quella delle banche italiane si è ridotta a meno del 25%.

Anche le quote delle istituzioni finanziarie residente e dei privati sono diminuite, così come quella degli investitori esteri (o italiani tramite strumenti di natura estera).

Il confronto con la crisi del 2011

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In questo grafico, elaborato sulla base dei dati di Banca d’Italia, è possibile osservare la composizione a fine 2011, anno in cui la crisi del debito sovrano ha fatto schizzare i rendimenti dei Btp oltre il 7% e lo spread con il Bund a più di 550 punti base.

All’epoca la quota in mano ai non residenti era pari al 38%, seguita dalle banche nazionali (27%), dalle altre istituzioni italiane (16%) e i privati (14%), mentre Banca d’Italia deteneva solo il 5% del debito pubblico italiano.

Le implicazioni della composizione del nostro debito

L’elevata percentuale di debito nelle mani del mercato rende il nostro debito vulnerabile. Questo perché i titoli possono essere repentinamente liquidati, creando forti pressioni ribassiste sui prezzi e innescando di conseguenza un rialzo dei rendimenti, per via della relazione inversa tra prezzi e rendimenti che caratterizza le obbligazioni. La forte dipendenza dal mercato aumenta i rischi di rifinanziamento, poiché gli investitori percepiscono l’Italia come un Paese più rischioso e richiedono rendimenti più elevati per investire nel nostro debito sovrano, con conseguenze negative per i conti pubblici.

Questo aspetto rappresenta una differenza dell’Italia rispetto ad altri Paesi, ad esempio la Grecia, dove le istituzioni internazionali (Bce, Fondo Monetario Internazionale e MES) detengono circa l’80% del debito pubblico. Ciò consente di contenere l’attività speculativa nei confronti delle obbligazioni di Atene, per il quale si valuta persino un ritorno del merito creditizio al livello “investment grade”, dopo la profonda ristrutturazione subita dal 2010 ad oggi.

Da monitorare attentamente nelle prossime settimane i giudizi delle agenzie di rating sull’Italia, che potrebbero avere conseguenze importanti sulla credibilità del Paese nei confronti dei mercati finanziari.