ROMA (WSI) – Gli ultimi sondaggi elettorali sono stati pubblicati l’altro ieri. Ora è scattata la fase finale della par condicio: stop alle previsioni. Ma molto può ancora cambiare nelle due settimane che ci separano dal voto. Per il professor Roberto D’Alimonte, politologo alla Luiss ed editorialista del Sole 24 Ore, c’è un dato da tenere particolarmente sott’occhio: la decrescita del Pd. Così preoccupante da fargli dire: “Chi vota Grillo rischia di far vincere Berlusconi”.
Professore, andiamo con ordine.
Tutti i sondaggi danno i democratici in vantaggio.
Perché dovrebbero scendere?
È vero, se si guarda la fotografia delle rilevazioni rese note venerdì si vedono solo elementi favorevoli per Pier Luigi Bersani. Io ho parlato di una distanza tra i due schieramenti di 6,6 punti, Ilvo Diamanti scende al 5,5 per cento, Swg arriva al 4. In ogni caso, si tratta di un distacco forte, per un certo verso tranquillizzante per il Pd. Ma bisogna cambiare prospettiva.
Sarebbe a dire?
Ci sono due modi per vincere le elezioni: o guadagni più voti del tuo avversario, o aspetti che il tuo avversario ne perda più di te.
Sarebbe questa la strategia del centrodestra?
Cominciamo a chiarire una cosa: questa è la prima volta che si vota con questa legge elettorale e con questo livello di frammentazione. Il Porcellum era un sistema calibrato su due coalizioni, non prevede il caso di una competizione a quattro.
Cosa significa?
Che rischia di prendere il premio di maggioranza chi arriva al 30 per cento dei voti. Se il trend negativo prosegue, il Pd potrebbe scendere a una percentuale del genere. E Berlusconi non potrà arrivare al 35 per cento, ma al 30 sì.
Finora tutti hanno detto che l’unico problema per Bersani era il Senato
Invece io dico che adesso la questione può diventare la Camera: il Pdl ha recuperato buona parte di quello che poteva recuperare, d’ora in poi credo che la sua possibilità di crescita sia limitata. Il problema è la decrescita del Pd: gli scandali, soprattutto quello del Monte dei Paschi, stanno determinando un calo costante, soprattutto tra i simpatizzanti meno organici al partito.
Le ragioni del calo sono solo queste?
No, il Pd ha dimenticato anche l’abc della politica, la necessità di fare campagna in mezzo alla gente, come ha fatto durante le primarie. Cosa che, invece, sta facendo Grillo.
Per questo “il fattore Cinque Stelle” è diventato determinante?
Dopo una fase di appannamento, Grillo è di nuovo in ascesa. Se, nei prossimi giorni, dovessimo scoprire che Grillo erode più la base del Pd che quella del Pdl, la partita alla Camera può riaprirsi. E Berlusconi rientrare in gioco.
Lo chiamano voto utile. Ma non è un ricatto?
Con buona pace di Grillo e di Ingroia, qui si tratta di chiarire un punto. Lo dico da analista: oggi, con questo sistema elettorale, chi vuole essere certo di voltare pagina con il berlusconismo, non ha altra scelta: deve votare Bersani o Vendola.
PASDARAN ANTI CASTA CON IL RISCHIO SCILIPOTI
di Andrea Scanzi per Il Fatto
L’onda lunga sta per abbattersi sul Parlamento. I marziani a cinque stelle sono in procinto di atterrare su Roma. A inizio anno il M5S sembrava in calo. Adesso, anche grazie allo “Tsunami Tour” di Beppe Grillo, oscilla tra il 15 e il 20 percento. I sondaggi sembrano al ribasso, perché molti si vergognano di dire che voteranno M5s. Un po’ come capitava con Craxi e (ancora) con Berlusconi.
Una novantina di deputati, una quarantina di senatori. Cifre non azzardate, che significherebbero anche presidenze di commissioni. Il parlamentare cinque stelle è la novità deflagrante della politica italiana. Come si comporterà concretamente? Cercherà anzitutto di non “contaminarsi”, tendendo a far gruppo come capitava alla prima Lega.
La distinzione tra “noi” e “loro” è decisiva per il M5s: nel momento esatto in cui rischia di somigliare agli “altri”, la sua forza decade. Il mandato di milioni di elettori è chiaro: si vota M5s perché faccia pulizia, perché “mandi tutti a casa”; perché si concretizzi come virus benefico nel sistema infetto della politica. E perché sia granello di sabbia nell’ingranaggio della casta.
A fronte di una tale richiesta (di pancia e di testa) moralizzatrice, il parlamentare cinque stelle – il marziano grillino – non può sbagliare. E l’errore primo sarebbe confondersi con gli altri: lo sbracamento, la scilipolitizzazione. Quel mix di arrivismo, arroganza e ignoranza che ha travolto anche la Lega.
Il M5s ha poche regole, tutte ratificate in rete da Beppe Grillo. Il “Codice di Comportamento 5 Stelle eletti in Parlamento”, pubblicato a fine 2012, fornisce qualche risposta. “I gruppi parlamentari del Movimento Cinque Stelle non dovranno associarsi con altri partiti o coalizioni o gruppi se non per votazioni su punti condivisi”; “i parlamentari dovranno rifiutare l’appellativo di ‘onorevole’ e optare per il termine ‘cittadina’ o ‘cittadino'”; “rotazione trimestrale capogruppo e portavoce Camera e Senato con persone sempre differenti, la scelta dei capogruppo sarà operata dai gruppi di Camera e Senato”; “evitare la partecipazione ai talk show“.
La trasparenza è un aspetto basilare: “Votazioni parlamentari motivate e spiegate con video sul canale YouTube del Movimento 5 Stelle”; “il parlamentare eletto dovrà dimettersi se condannato, anche solo in primo grado, nel caso di rinvio a giudizio sarà sua facoltà decidere se lasciare l’incarico”; “rendicontazione spese mensili per l’attività parlamentare (viaggi, vitto, alloggi, ecc) sul sito del M5s”.
In Sicilia, i consiglieri M5s hanno restituito il 70 percento del loro stipendio, utilizzandolo come microcredito a supporto di piccola e media impresa. L’abbattimento dei costi della politica verrà reiterato in Parlamento: rifiuto dei rimborsi elettorali (100 milioni di euro), indennità parlamentare di 5mila euro lordi (invece dei 10435 attuali) più diaria e benefit.
Meno chiara la destinazione dei contributi per i gruppi di comunicazione a Camera e Senato. Il “cittadino” 5 Stelle si smarcherà dai colleghi “onorevoli” nel look casual, nel presentarsi come persone comuni, nell’aborrire il piccolo schermo: nel preferire l’accusa di dilettanti a quella – per loro intollerabile – di professionisti della politica.
È il mito dell'”uno conta uno”, della mamma casalinga che potrebbe divenire ministro dell’Economia: della “semplicità” da contrapporre alla “complessità”. Il parlamentare cinque stelle riverbererà quanto già fatto dai colleghi nei consigli comunali e regionali.
Grillo ripete: “Apriremo il Parlamento come una scatola di sardine”. Come? Smascherando gli accordi sottobanco, spulciando ogni delibera, riprendendo ogni istante con la webcam per poi pubblicarlo su Youtube. L’eletto cinque stelle sarà il polemista guastatore di Camera e Senato.
Un po’ Don Chisciotte e un po’ Savonarola, un po’ hacker e un po’ nerd. Uno dei primi banchi di prova concreti sarà l’elezione del presidente della Repubblica.
Esauriti i “voti pindarici” (ieri Antonio Di Pietro, oggi Dario Fo), il M5s dovrà cimentarsi con il pragmatismo. E scegliere il presidente meno indigesto (Romano Prodi, forse). Il parlamentare cinque stelle sarà fieramente provvisorio, sottoposto al controllo della Rete (e del tandem Grillo-Casaleggio). Se è vero che farà opposizione, è errato immaginarlo come capace solo di dire “no”.
Meno ideologico di Rivoluzione Civile, meno polveroso della vecchia Idv (e numericamente più forte), il M5s sfrutterà – come in Comuni e Regioni – la sua trasversalità per decidere di volta in volta. In Sicilia ha più volte appoggiato Crocetta.
In Parlamento voterà ora a favore delle proposte del verosimile governo Bersani-Monti e (più spesso) contro. Sfuggente e non etichettabile (ma tutt’altro che imprevedibile), la milizia inter-nauta dei marziani grillini continuerà a cortocircuitare la politica. Sperando di generare, attraverso choc sistematici, un effetto in qualche modo salvifico.
Copyright © Il Fatto Quotidiano. All rights reserved