NEW YORK (WSI) – Le cose vanno bene per Chrysler. Ipso facto, non vanno così bene né per i progetti di risparmio energetico e di abbattimento delle emissioni inquinanti del presidente Barack Obama e nemmeno per il suo partner nel piano di salvataggio di cinque anni fa, Fiat.
A dirlo è il Wall Street Journal, secondo cui non è Sergio Marchionne ad aver salvato Chrylser, bensì gli Usa. Gli ultimi nove trimestri Chrysler li ha chiusi in utile, sopratutto grazie al successo dei modelli sportivi (SUV) e dei pickup, non esattamente le auto a basso impatto energetico che Obama aveva previsto.
Fiat, che detiene una quota di maggioranza in Chrysler, ha ricevuto il 20% della partecipazione gratis dall’amministrazione di Washinton, in cambio della promessa di costruire le macchine trendy e a basso consumo che Obama vuole che gli americani comprino.
Un altro beneficiario del piano di salvataggio sono stati i sindacati della United Auto Workers. Il fondo Veba controlla una quota del 41,5% e Marchionne vorrebbe comprare tale fetta azionaria per completare la fusione delle due società.
Ma l’AD di origini svizzero canadesi e il fondo dei sindacati metalmeccanici non hanno ancora trovato un accordo sul prezzo che la casa torinese deve sborsare. Sfortunatamente per Marchionne, con i risultati finanziari molto positivi di Chrysler, dovuti alla crescente domanda per i pickup e SUV, il prezzo diventa sembre più fuori mano per Fiat, le cui fortune sono invece legate all’Europa, dove la crisi del debito ha compromesso i consumi.
Il rating della qualità del credito di Fiat e gli sforzi di migliorare la performance finanziaria sono minacciati dal prezzo salato che chiede il fondo dei sindacati. Un qualsiasi prezzo intorno o sopra i 5 miliardi di dollari, che grazie ai conti di Chrysler presto dimostrerà di valere, metterebbe in crisi l’azienda italiana.
I consulenti di Chrysler valutano la compagnia automobilistica circa 10 miliardi di dollari, meno di Ford o General Motores. Chrysler non può concorrere con le altre due sorelle di Detroit, dice il quotidiano finanziario, ma il suo brand che produce Jeep ha un potenziale mondiale.
Sul valore di Chrysler pesano due fattori: Fiat e il fatto che non fabbrica le auto elettriche che Obama chiede e che un giorno potrebbe essere costretta a costruire e vendere anche se costerà qualcosa in termini di profitti.
Per gli investitori Chrysler vale tre volte Fiat, una volta sottratta la quota della casa americana dal gruppo del Lingotto. Marchionne sostiene, anche nelle contrattazioni con i sindacati, che Chrysler non avrebbe risultati così positivi senza il contributo di Fiat. Chrysler sarebbe schiacciata dalle richieste dell’amministazione Obama.
In realtà il discorso non regge, secondo il Wall Street Journal, in particolare dal momento che una volta che Obama se ne andrà dalla Casa Bianca le richieste finiranno nel dimenticatoio, anche per evitare che il settore automobilistico debba vedersela con un nuovo round di fallimenti.
Nel frattempo, il fondo di UAW ha ragione a lamentarsi. Il valore implicito di Chrysler diminuisce ogni volta che i suoi profitti e ammontare cash siano investiti per finanziare i progetti di rinnovo da ultima spiaggia di Fiat.