Una delle notizie di giornata riguarda il fondo sovrano norvegese. Il più grande del suo genere al mondo, con mille miliardi di asset in gestione, ha annunciato il taglio di alcune tipologie di titoli energetici all’interno del benchmark. Dopo il carbone è quindi il petrolio a fare le spese delle scelte strategiche del fondo più ricco del globo.
In concreto il colosso scandinavo che reinveste i ricchi proventi derivanti dalle risorse petrolifere della Norvegia da questo momento non potrà più avere titoli di società che operano esclusivamente nella produzione e trivellazione di petrolio.
La notizia indebolisce i titoli di Royal Dutch Shell (-2,45%), Eni e di altre compagnie petrolifere, che accusano il colpo in Borsa. Le azioni del colosso italiano al momento scivolano ai minimi di giornata in area 15 euro (-1,59%). La decisione di ridurre l’esposizione al settore grava anche sui corsi di Total (meno 2,02%), Chevron (-0,99%), ConocoPhillips (in calo dell’1%) e ExxonMobil (in ribasso dello 0,94%).
Il governo dice in un comunicato di voler proporre l’esclusione delle società energetiche che sono classificate come “esplorazione e produzione” dal “Government Pension Fund Global”. L’obiettivo è ridurre i rischi nell’economia legati a un eventuale calo dei valori petroliferi. In Italia a rischiare il delisting di fatto è Saras.
Norvegia: cambiamento graduale ma necessario
Il governo norvegese spiega che si tratta di una misura che sarà attuata gradualmente. Volta ad aumentare la diversificazione in portafoglio e non a un allontanamento definitivo dall’industria petrolifera. La decisione, inoltre, non riguarda una previsione specifica sull’andamento dei prezzi.
“Il settore petrolifero rimarrà un settore fondamentale e chiave per la Norvegia per ancora molti anni”, fanno sapere le autorità. “I ricavi statali registrati dalla piattaforma continentale sono in linea di massima la conseguenza della redditività di attività come produzione ed estrazione petrolifera”.
Detto questo, la presa di posizione è netta. Se l’idea è quella di salvaguardare l’economia nazionale, come già annunciato dal fondo un anno e mezzo fa, significa che il petrolio viene considerato meno redditizio e più rischioso di una volta.
La parola d’ordine è diventata diversificazione da quando le quotazioni del petrolio hanno iniziato a scendere, colpite da una offerta in eccesso. E dalle misure governative sempre più improntate alla riduzione delle emissioni inquinanti, con un’attenzione particolare al futuro dell’ambiente.
Il problema di Oslo è che un’ulteriore indebolimento dei prezzi e della domanda di petrolio avrebbe un impatto negativo su tutta l’economia del paese scandinavo, che dipende fortemente dagli affari associati al greggio. A novembre del 2017 aveva proposto al governo di vendere titoli del settore oil & gas per un valore complessivo pari a 35 miliardi di dollari.