Alla luce di quello che sta succedendo in Cina nel 2018 l’arsenale della banca centrale cinese non sembra più così potente e l’istituto appare “disperato”. Un po’ come è già accaduto durante la crisi di inizio 2015. E la causa è anche da ricercare nei loro modelli statistici.
A dirlo è Jeffrey Snider di Alhambra Investment Partners. Zhou Xiaochuan – governatore della banca centrale dal 2002 – doveva andare in pensione nel 2013, ma ha preferito rimanere al suo posto ancora per cinque anni per vedere l’impatto che le sue riforme avrebbero avuto, convinto che l’economia della Cina sarebbe tornata in carreggiata e si sarebbe stabilizzata.
Una risposta in questo senso l’ha offerta la seconda carica di Stato cinese: Il premier Li Keqiang ha ammesso che la Cina deve far fronte a “grandi difficoltà”. Ormai “l’economia cinese è profondamente integrata a quella mondiale ed è pertanto inevitabilmente influenzata dai maggiori cambiamenti sul fronte commerciale ed economico”, ha detto dal World Economic Forum di Tianjin, in Cina.
Se le riforme delle autorità di politica monetaria hanno successo e permettono all’economia di diventare una potenza globale stabile nel tempo, allora Xiaochuan avrà avuto ragione. Ma secondo Snider difficilmente sarà questo il caso.
Le riduzione dei requisiti di riserva (RRR) e gli altri piani di accomodamento monetario non sono sufficienti e nonostante l’incremento massiccio del bilancio della banca centrale negli ultimi undici anni, i problemi non sono stati risolti e come si vede nel grafico sopra riportato, i mercati non mostrano segni di apprezzamento. Quest’anno l’indice composito della Borsa di Shanghai (SSE) è tornato a scambiare sui livelli di febbraio 2016.
Non sono soddisfatti perché si rendono conto che la valuta nazionale è stata spremuta per bene negli ultimi tempi. In agosto di quest’anno, stando alle cifre ufficiali pubblicate dalla PBOC, la banca centrale cinese, la moneta complessiva era del 2,6% più elevata rispetto a un anno esatto prima.
È una percentuale sotto la media per quest’anno (2,7%) e inferiore al 3,2% di crescita messo in segna in media nel 2015, che è stato uno degli anni più difficili per l’economia e i mercati cinesi nella storia recente. In termini di valuta “virtuale”, analogamente anche la crescita delle riserve valutarie in banca si è fermata nell’ultimo anno (come si vede bene nel grafico sopra riportato).
Insomma, la banca centrale non è così potente come vuole fare credere, secondo il manager di Alhambra Investment Partners.
Sui mercati le Borse asiatiche stanno correndo oggi, illudendosi dell’impatto positivo che potrebbe avere un piano di stimolo monetario volto ad attutire gli effetti dell’escalation della guerra dei dazi tra le due prime potenze economiche mondiali.
Ad aiutare sono anche le dichiarazioni del premier Keqiang ha assicurato che Pechino – che non importa così tanti beni dagli Usa come invece fa l’America dalla Cina – non svaluterà la sua moneta ulteriormente per alimentare le esportazioni. Le parole di Kegiang fanno bene soprattutto allo yuan. Sul Forex la divisa cinese sale dello 0,15% a quota 6,8504 dollari negli scambi onshore.