Il mercato delle valute è un terreno particolarmente pericoloso per gli investitori quest’anno: all’orizzonte ci sono guerre commerciali e conflitti valutari, tra Trump che farà di tutto per indebolire il dollaro forte, lo yuan che rischia in un qualsiasi momento di essere svalutato e un euro che dipende dalla vollontà della Bce di andare avanti con il Quantitative Easing.
Senza esplicitarlo, al World Economic Forum di Davos il presidente della Repubblica cinese Xi Jinping ha lasciato aperta la possibilità a un’ulteriore svalutazione dello yuan e Donald Trump gli sta offrendo su un piatto d’argento la scusa utile per farlo.
L’obiettivo è quello di scongiurare un prosciugamento delle riserve in valuta straniera. “La Cina è al verde”, dice Jim Rickards, autore di libri di successo sui temi finanziari ed ex consulente del fondo hedge Long Term Capital Management. “È matematica da scuola elementare”.
Le riserve valutarie della Cina si sono ridotte del 25% dai massimi di metà 2014. Ciò, secondo Rickards, è dovuto alla fuga di capitali in varie forme, legali e illegali, compresi i ripagamenti dei debiti”.
Ma perché questa fuga di capitali?
I cinesi benestanti, spiega l’autore del bestseller Currency Wars: The Making of the Next Global Crisis, “stanno cercando di far uscire i loro soldi dalla Cina”, in previsione di una ulteriore maxi svalutazione dello yuan. In Cina sono sul punto di vivere quanto accaduto nel 1994, quando Pechino ha indebolito in poche mosse il valore della propria moneta di un terzo.
Alla Cina rimangono ancora $3.000 miliardi di riserve, tuttavia un terzo di questa cifra è “illiquida, come per esempio gli investimenti in fondi hedge fatti dal fondo sovrano China Investment Corp.”, come ricorda Rickards, che ha lavorato per 35 anni a Wall Street. Non si tratta quindi di denaro che può essere utilizzato facilmente.
Restano a disposizione 2.000 miliardi di dollari di riserve. Un altro migliaio di milardi, tuttavia, “deve essere conservato come riserva precauzionale nel caso ci sia bisogno di salvare le banche della Cina, che devono fare i conti con una serie di debiti inesigibili contratti da aziende a controllo statale e speculatori immobiliari”, osserva Rickards.
Mille miliardi di dollari non sono sufficienti sulla carta per giustificare la nozione secondo cui la Cina sia al verde. Tuttavia la fuga dei capitali in atto è massiccia e sta prosciugando le riserve rimanenti, al ritmo di 80 miliardi di dollari che fuoriescono al mese.
Se il fenomeno continua a questo tasso, entro fine anno la Cina sarà rimasta senza riserve liquide e non sarà più un partner commerciale internazionale affidabile. Per evitare questo scenario, la Cina può alzare i tassi di interesse e difendere la propria valuta, oppure può imporre controlli di capitale.
Un’alternativa è svalutare ancora lo yuan. Una stretta monetaria rischierebbe di compromettere la crescita economica e aggravare la crisi creditizia in Cina. I controlli di capitale potrebbero funzionare ma strozzerebbero potenziali nuovi investimenti stranieri e in ogni caso la fuga di capitali proseguirebbe ma su canali illeciti.
Il più grande choc valutario in 50 anni
Il modo più semplice e meno dannoso per le autorità è pertanto quello di avviare una maxi svalutazione della propria divisa nazionale. Il governo non lo ha ancora fatto per evitare di essere etichettata come manipolatore valutario dagli Stati Uniti. L’idea è piuttosto quella di perseguire una lenta ma costante svalutazione, anche per evitare una rappresaglia Usa nella forma di tariffe e dazi doganali ai beni importati dalla Cina.
E qui entra in gioco Trump, che con le sue minacce rischia di rovinare i piani di Pechino. Il neo presidente eletto, che si insedierà alla Casa Bianca con la cerimonia di rito il 20 gennaio, ha più volte criticato i leader della Cina per tenere basso il valore dello yuan rispetto al dollaro.
In un’intervista rilasciata di recente al Wall Street Journal, Trump ha avverito che, in parte a causa della Cina, il dollaro sta diventando “troppo forte” e questo sta penalizzando gli Stati Uniti. “Sono manipolatori, senza dubbio”, ha detto facendo capire che però non ha intenzione di etichettarli in questo modo come prima cosa quando diventerà ufficialmente presidente.
Allo stesso tempo Trump ha dichiarato ai giornalisti dell’inglese Sunday Times che si prenderà il weekend di riposo e che il suo primo giorno in ufficio sarà formalmente da considerare lunedì. Finché la minaccia di Trump a Xi è presente, le autorità di Pechino non hanno alcun incentivo a rimandare il piano di svalutazione dello yuan.
In questo modo gli Stati Uniti stanno spingendo la Cina a fare il cattivo gioco nel contesto di una guerra valutaria e commerciale tra le due principali potenze economiche del pianeta. Siccome Pechino non può aspettare la fine dell’anno senza far niente per risolvere la crisi delle riserve valutarie, la previsione dell’avvocato Usa esperto di questioni finanziarie è che l’intervento di indebolimento massiccio dello yuan ci sarà e provocherà una “correzione sui mercati azionari che farà sembrare il tonfo di agosto 2015 dell’11% come un picnic”.
Rickards è convinto che si manifesterà il più grande choc valutario mondiale da quando la sterlina ha subito una svalutazione monstre 50 anni fa.