Economia

Cina: consumatori stringono la cinghia mentre il Paese sprofonda nella deflazione

La Cina continua a viaggiare in modalità deflazione. E il rischio dietro l’angolo è questa modalità possa diventare strutturale. Una trend che si può ribaltare solo in presenza di una ripresa dei consumi interni, che ad ora non mostrano pochi cenni di vita. Solo infatti con una ripresa delle vendite al dettaglio – dicono alcuni esperti – la Cina tornerà a crescere con i ritmi precedenti.

Prezzi giù a gennaio, calo maggiore da 15 anni

Procediamo con ordine. Nel mese di gennaio, secondo il National Bureau of Statistics, l’inflazione ha registrato un decremento tendenziale dello 0,8%, dopo il -0,3% del mese precedente e rispetto al -0,5% atteso dagli analisti. Si è trattato del quarto calo consecutivo e del calo più grande dal 2009. I prezzi dei prodotti alimentari sono diminuiti del 5,9% e i prezzi non alimentari sono aumentati dello 0,4%. I prezzi delle auto stanno scendendo al ritmo più veloce da almeno 22 anni. Scendendo ancora più nei dettagli, il prezzo della carne è diminuito dell’11,6% (di cui il prezzo della carne di maiale – alimento chiave della cucina cinese – è sceso del 17,3%), il prezzo della frutta fresca è sceso del 9,1%, il prezzo delle uova è diminuito del 6,4%.

Mentre il dato principale è guidato dai prodotti alimentari, anche le aziende che oprano negli altri settori stanno offrendo sconti per tentare di dare slancio ai consumi.  In crollo verticale i prezzi delle auto, che hanno segnato la flessione maggiore dal 2002.

I cinesi stringono la cinghia, anche a causa del reddito

Nessuna scossa è arrivata dal Capodanno cinese, tradizionalmente un periodo di grandi spese. Con il mercato immobiliare, storicamente un motore fondamentale della fiducia, ancora sotto pressione, la cautela dei consumatori è persistita anche in questo momento dell’anno.

“In teoria i prezzi bassi dovrebbero aumentare il potere d’acquisto dei consumatori, ma non è stato così”, ha dichiarato Louise Loo, economista capo di Oxford Economics, al Financial Times. “Pensiamo che il motivo sia da ricercare nel fatto che la mentalità deflazionistica è stata piuttosto radicata. Credo che questo sia l’inizio di una tendenza piuttosto strutturale”, ha aggiunto. “Le persone sono diventate molto più caute.  Pensano molto più intensamente a come spendere”.

I dati ufficiali hanno mostrato che le vendite al dettaglio sono aumentate del 7,4% a dicembre, anche se a fronte di una base di confronto bassa rappresentata dal dicembre 2022, quando la pandemia di Covid picchiava duro nel Paese. Nell’arco dell’intero anno, che ha risentito di effetti base simili dovuti i lockdown, le vendite al dettaglio sono aumentate del 7,2%.

Secondo Fred Neumann, co-responsabile dell’economia asiatica presso HSBC, alla base dei bassi consumi c’è una “mancanza di crescita del reddito”. L’indagine di Morgan Stanley ha mostrato che solo il 45% dei consumatori prevede un miglioramento delle finanze familiari nei prossimi sei mesi, il livello più basso dell’ultimo anno.

Cina da fulcro da motore del Pil mondiale a “grande malato”

Di fronte a questo scenario, Giorgio Broggi, Quantitative Analyst di Moneyfarm ha spiegato:

“Il 10 febbraio è ufficialmente inizio il Capodanno Cinese, che segna l’inizio dell’anno nuovo in molti Paesi asiatici. Si entra nell’anno del Drago, animale che in Oriente è da sempre simbolo di libertà, prosperità e risveglio. Che possa essere un buon auspicio per l’economia cinese? Da oltre due anni, infatti, la Cina è alle prese con un rallentamento economico tanto marcato   da minare alle fondamenta la percezione dello stato di salute dell’intero Paese. Nel 2023, il Pil nazionale è cresciuto del 5,2%, un livello che, sebbene irraggiungibile per la maggior parte degli Stati occidentali, risulta ben al di sotto del trend cinese pre-Covid. Alla frenata della crescita si sono poi sommati il rallentamento della domanda interna, le spinte deflazionistiche e numerose crisi che hanno colpito il settore immobiliare, i governi locali e il settore bancario ombra. La performance economica si è quindi tradotta in una performance estremamente deludente anche sui mercati finanziari: nel 2023 l’indice CSI 300 ha perso oltre l’11% (in euro)”.

La Cina rischia di passare in poco tempo da fulcro dell’economia mondiale a “grande malato”: nel decennio 2012-2021, ha spiegato l’esperto che ha aggiunto:

“La narrativa, però, sta cambiando rapidamente: il Fondo Monetario Internazionale prevede un calo graduale del tasso di crescita reale cinese, fino a toccare il +3,4% nel 2028, sull’onda di una produttività sempre più debole e di una popolazione sempre più anziana.  Il FMI non è il solo ad aver definito la Cina un “freno” per la crescita globale, accogliendo con scetticismo gli obiettivi ufficiali di crescita, posizionati per il prossimo anno da Pechino intorno al 5%. Una crisi di percezione pericolosa per una nazione che prova a estendere la sua influenza geopolitica su metà del globo. Recentemente anche Moody’s ha cambiato l’outlook del debito cinese (rating A1) da stabile a negativo: un risultato che ha immediatamente generato una campagna dei media cinesi tesa a screditare l’autorevolezza dell’agenzia. Insomma, sembra si stia creando un solco sempre più profondo tra i tentativi di Pechino di mantenere una narrazione di successo e la valutazione del Paese da parte dei mercati e delle organizzazioni internazionali. Al centro c’è un quadro oggettivo nel quale emergono problemi sistemici sempre più evidenti per un’economia da 19 trilioni di dollari chiamata per dimensioni e vocazione a raggiungere lo status di superpotenza economica avanzata”.