Società

Cina, giornata di sangue e terrore nello Xinjiang

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

PECHINO (WSI) – Giornata di sangue e terrore nella travagliata regione nord-occidentale cinese dello Xinjiang, sconvolta da cinque anni da violenze che hanno raggiunto il livello di una guerra civile strisciante: la polizia ha ucciso «decine di aggressori armati di coltelli» che avevano attaccato e colpito due centri abitati. A quanto si capisce dal resoconto dell’agenzia Nuova Cina, i terroristi, appartenenti all’etnia locale degli Uighuri, avrebbero attaccato dei civili cinesi di etnia Han e sono poi stati affrontati dagli agenti.

L’agenzia sostiene che si è trattato di «un attacco terroristico premeditato» e che le vittime ci sono esponenti di entrambe le etnie. Il dramma si è consumato in due piccole «township» (che in Cina indica un centro urbano di piccole dimensioni), nella prefettura di Kashgar, considerata la culla della cultura uighura. Dal resoconto dell’agenzia la dinamica dei fatti non è chiara. «Una banda armata di coltelli ha attaccato un commissariato di polizia nella zona di Elixku, e alcuni (dei suoi componenti) hanno raggiunto il vicino centro di Huangdi aggredendo i civili e distruggendo i veicoli che passavano», afferma l’agenzia.

Ma «agenti di polizia che si trovavano sul posto – prosegue il resoconto – hanno ucciso dozzine di membri del gruppo teppistico». Il Xinjiang, una regione desertica nel nordovest ricca di materie prime, è in uno stato di semi-guerra civile dal 2009, quando quasi 200 persone furono uccise nella capitale Urumqi in scontri tra uighuri e han. In seguito si sono verificati migliaia di processi e di condanne, decine delle quali alla pena capitale. Tredici di queste sono state eseguite il 17 giugno scorso. Negli ultimi mesi spesso si sono tenute cerimonie pubbliche per annunciare le condanne contro decine di uighuri.

Gli spettacoli, ai quali hanno assistito migliaia di persone, hanno riportato alle mente i tempi della Rivoluzione Culturale, il movimento lanciato dal presidente Mao Zedong che negli anni settanta portò la Cina nel caos. Attacchi, in genere di giovani uighuri armati di coltelli contro civili han o contro pattuglie della polizia, vengono denunciati spesso dai media cinesi. A partire dall’anno scorso terroristi uighuri hanno attaccato civili cinesi fuori dalla Regione Autonoma del Xinjiang, colpendo nella capitale, Pechino, e nella città di Kunming, nel sud della Cina.

In maggio, una bomba esplosa in un mercato ad Urumqi nel corso di una visita nella regione del presidente Xi Jinping ha provocato la morte di tre persone. Gli uighuri sono turcofoni e musulmani e accusano Pechino di lasciarli ai margini dello sviluppo economico e di averli ridotti a una minoranza nella loro stessa patria, promuovendo una massiccia immigrazione verso lo Xinjiang dalle aree più povere della Cina.

Oggi gli uighuri sono circa il 40% dei 20 milioni di abitanti della regione, gli han il 45%, mentre il resto è composto da altre minoranze. Pechino afferma che nel Xinjiang sono attivi estremisti islamici legati all’internazionale del terrore che ha le basi in Pakistan e in Medio Oriente. I gruppi di uighuri in esilio sostengono invece che le azioni violente sono condotte da giovani resi «disperati» dalla «repressione» cinese.