Il pericolo che il debito monstre della Cina faccia crac sono quanto mai attuali. A lanciare l’avvertimento sono gli analisti di Macquarie che in una ricerca sottolineano come la Cina sia “la chiave dell’economia mondiale”.
Sebbene investitori e mercati sembrano concentrarsi sulle tensioni geopolitiche, sui problemi delle banche, sulle incertezze politiche in area euro e sui possibili ostacoli alle manovre pro crescita di Donald Trump in Usa, il vero nodo è la Cina.
La Cina, infatti, è il solo paese in grado di compromettere veramente il ‘reflation trade’, il periodo di mercato toro degli ultimi cinque mesi. Con un debito pari al 300% del Pil ormai, Macquarie osserva come la Cina è capace di grandi cose, nel bene e nel male.
Si parla di ritorno dell’inflazione negli Stati Uniti e nell’economia mondiale. Ma con gli obiettivi di crescita più modesti rispetto ai tempi d’oro e un debito galoppante, la stagnazione e persino la deflazione non sono possibilità da escludere in Cina, un paese dove il default del debito è sempre un rischio concreto, secondo gli analisti della banca.
Gli analisti di Macquarie paragonano la Cina al dio Atlante. Victor Shvets e Chetan Seth scrivono che “la potenza asiatica è quello che deciderà se attraverseremo un periodo di normalità relativa o se la Terra crollerà addosso all’economia mondiale”.
Cina sullo stesso piano della Grecia
Il 27% degli investimenti mondiali e quasi il 66% del credito creato ha origine in Cina e il mondo è ormai “dipendente” dai soldi cinesi. Gli analisti ritengono pertanto che la chiave per il proseguimento dei rialzi sui mercati, fase iniziata con l’elezione di Trump e le scommesse di un ritorno dell’inflazione e un rilancio degli investimenti, sta in quello che accadrà in Cina.
I settori immobiliare e industriale mondiali sono stati spinti dai soldi e investimenti della Cina. Se continuerà a finanziare progetti e sostenere l’economia globale, la Cina potrebbe continuare ad alimentare con forza la salita dei prezzi delle materie prime.
Il problema è che questa crescita portentosa è stata facilitata dall’incremento netto del debito pubblico della Cina, aumentato da 1.500 miliardi di dollari nel 2000 a $37 mila miliardi a fine 2016, un fattore di instabilità che tende a creare bolle come quella immobiliare.
Quanto a passività e esplosività del debito, il report di Macquarie mette sullo stesso piano Cina e Grecia, sottolineando come il tasso tra Pil e debito (esclusi i gruppi finanziari) della Cina del 170%, pari al doppio degli Stati Uniti, è un livello fuorviante o per lo meno una cifra che non dice come stanno veramente le cose.
Se a questa percentuale “uno aggiunge il 50%-60% del rapporto debito/Pil attribuibile direttamente ai governi nazionali e provinciali e un altro 60% minimo che appartiene al settore bancario, il governo è responsabile per circa il 230-240% del debito-Pil, sugli stessi livelli della Grecia, con il settore privato ‘reale’ che in confronto rimane decisamente sotto indebitato”.