Il 2017 è iniziato con l’allarme Cina. Le riserve valutarie estere del paese rischiano infatti di crollare sotto la soglia critica di $3 trilioni (ovvero $3.000 miliardi). E’ uno stesso sondaggio di Reuters che avverte come i dati in calendario questa settimana potrebbero rivelare che le riserve in valuta estera della Cina si sono attestate appena al di sopra di quota $3 trilioni alla fine di dicembre, al minimo dal febbraio del 2011.
Il motivo è da individuare nei continui interventi di Pechino sia nei mercati onshore che offshore dello yuan per sostenere llo yuan in vista, il prossimo 20 gennaio, dell’inaugurazione della nuova presidenza di Donald Trump. Il presidente eletto ha infatti minacciato di accusare ufficialmente la Cina di manipolazione del mercato valutario e Pechino non vuole essere colta in fallo.
Ma la decisione di agire è successiva anche – e soprattutto – alla fuga di capitali che ha colpito l’economia cinese. Basti pensare che, secondo gli analisti di Standard Chartered, sui mercati offshore gli asset denominati in yuan sono crollati lo scorso anno, a livello globale di ben -17%, a 2,16 trilioni di yuan. E la fuga è stata soprattutto dei depositi, pari a -22% a 1,17 trilioni di yuan.
Per questo, la Cina ha impedito a diversi individui e aziende di trasferire i loro capitali all’estero, con gli analisti che hanno parlato di una vera e propria strategia incentrata sui controlli sui capitali.
Il paese starebbe perdendo tuttavia il controllo della situazione.
La vendita sfrenata delle riserve in valuta estera da parte delle autorità monetarie, per sostenere lo yuan, rischia infatti di rendere ancora più precaria la sua posizione a livello mondiale. Esiste infatti quel diktat dell’FMI, secondo cui le riserve in valuta estera della Cina devono avere un valore minimo compreso tra $2,6 e $2,8 trilioni.
Gli interventi della Cina a supporto dello yuan sono finora riusciti: sui mercati offoshore, riporta oggi il Financial Times, lo yuan ha segnato un rally fino a +2,6%, a 6,7853 per dollaro, livello massimo dall’inizio di novembre.
La pubblicazione di dati positivi provenienti dal fronte economico e la scarsa liquidità presente sui mercati offshore hanno colto di sorpresa i ribassisti sullo yuan, e la valuta ha registrato il rally in due sedute più sostenuto della sua storia, dopo essere scivolata al minimo record di 6,9895 per dollaro lo scorso martedì.
Ma proprio la scarsa liquidità dei mercati offshore si è tradotta in un balzo dei costi per indebitarsi in yuan, che nelle contrattazioni overnight di Hong Kong sono più che raddoppiati, testando il 38,35%, massimo in un anno, rispetto ai livelli considerati normali, che oscillano tra l’1% e il 2%.