NEW YORK (WSI) – Il problema delle sofferenze bancarie non riguarda solo l’Europa, bensì anche la Cina. Con la differenza che le autorità di Pechino si sono mosse per tempo per arginare la crisi. I buchi patrimoniali e insufficienze di capitale delle banche cinesi suscitano da tempo la paura di una nuova crisi nella seconda economia al mondo, ma contrariamente a quanto si crede, le pulizie dei bilanci sono state già avviate dal governo.
La , secondo gli analisti di Ubs. “Riteniamo che siano stati fatti progressi significativi nel riconoscere i problemi e affrontarli”, scrive in una nota Jason Bedford, citando l’analisi effettuata su 765 banche della Cina.
“Il governo ha avviato i piani di salvataggio e di ricapitalizzazione e questi stanno progrendo a un ritmo inaspettato (e sottovalutato dai mercati)”, dice lo strategist di UBS. La ricerca della banca svizzera ha motrato che il 2015 è stato il primo anno dagli Anni 200 in cui sono stati messi a punto bailout di una certa portata.
I timori e le incertezze sullo stato di salute del settore bancario cinese sono legate alla sensazione dei mercati e degli analiti occidentali che le cifre sulle sofferenze siano state minimizzate dalle autorità e che le attività di prestito siano state troppo spesso dirette “politicamente” verso i settori industriali con capacità in eccesso.
Secondo Daiwa, la seconda banca d’affari del Giappone dopo Nomura, il rapporto di sofferenze nel secondo trimestre è rimasto invariato all’1,75% dei prestiti totali iscritti a bilancio, mentre le grandi banche del paese asiatico hanno visto un calo di 3 punti base su trimestre all’1,69%. Il calo va attribuito, secondo gli analisti, alle svalutazioni e cessioni importanti di crediti deteriorati nel corso del periodo aprile-giugn.
Durante la crisi finanziaria globale il governo cinese ha utilizzato le banche per iniettare denaro nell’economia e alimentarne la crescita. Il risultato è stato che i livelli di debito delle amministrazioni locali sono saliti e le società a controllo statale e le banche ora detengono una montagna di crediti deteriorati. Il problema è stato ingigantito dalla perdita di redditività industriale dopo anni di crescita costante e dal fatto che i debitori fanno sempre più fatica a ripagare gli interessi.
A febbraio il navigato gestore di fondi hedge Kyle Bass, che aveva previsto con anticipo lo scoppio della crisi subprime, ha avvertito che la crisi del credito in Cina avrebbe portato a una perdita immensa per le banche del paese, il 400% in più rispetto a quella da 650 miliardi di dollari incassata dal settore finanziario statunitense durante la crisi dei mutui del 2008.
Rimane ancora molto da fare per ripulire i bilanci delle banche, che hanno attivi in gestione pari a 179mila miliardi di yuan. Se le attività creditizie continuano a crescere a un ritmo di due o tre volte superiore alla crescita del Pil, i problemi aumenteranno a un passo troppo alto perché la soluzione possa funzionare. È anche il problema principale dell’Italia: la crescita economica fiacca malgrado i tassi bassi non consentono ancora a banche, governo e debitori di trovare un rimedio per uscire dal tunnel.
Anche se gli analisti di Daiwa continuano ad avere un parere negtivo sul settore bancario cinese, non si aspettano lo scoppio di una crisi sistemica. Questo perché non ritengono che le perdite provocate dalle sofferenze colpiscano le banche tutte in una volta”. Detto questo “ci potrebbero volere anni per ripulire i crediti deteriorati in portafoglio”.